2010-06-18 15:41:59

Il vescovo di Nola, Depalma, sullo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco: persone e territorio non siano umiliati ma vinca lo sviluppo


Da molte settimane, in Italia tiene banco la questione dello stabilimento della Fiat di Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli, per il quale l’azienda torinese aveva ventilato nei mesi scorsi la chiusura. La proposta dell’azienda per ovviare a questo esito drammatico per migliaia di operai contiene misure che sono state accolte soltanto da una parte dei sindacati di categoria, che si sono così divisi, suscitando numerose reazioni a livello politico e sociale. Anche la Chiesa locale sta seguendo con attenzione la vicenda. Fabio Colagrande ha raccolto l'appello del vescovo di Nola, Beniamino Depalma:RealAudioMP3

 

R. – Che Pomigliano non sia sacrificata più del dovuto, che questo territorio non sia ancora una volta umiliato. Come Chiesa noi cercheremo di vigilare sulla dignità degli operai, sulla dignità dei diritti dei lavoratori e sulla dignità del lavoro. Questo momento è tempo di grande senso di responsabilità per tutte le parti: per l’azienda, per i sindacati e anche per il mondo degli operai.

 

D. – C’è una richiesta, un appello particolare che lei fa all’azienda?

 

R. – All’azienda io ho chiesto, e chiedo ancora una volta, di fare tutto il possibile, perché non si perda questa grande occasione di sviluppo in un territorio abbastanza martoriato, dove è presente la criminalità: che possiate diventare voi il posto di approdo per 15 mila operai.

 

D. – Per quanto riguarda i lavoratori e i sindacati, lei fa un appello anche all’unità...

 

R. – Ai sindacati io chiedo di ritrovare l’unità, perché in questo momento interessa lavorare e perché interessi il lavoro alla gente.

 

D. – Qual è la situazione sociale del territorio del quale lei è vescovo?

 

R. – E’ un territorio a grave rischio di camorra, di associazioni a delinquere. Dal punto di vista umano, ci sono grandi risorse e anche grandi possibilità per reagire a questa mentalità di criminalità organizzata. Ma bisogna vigilare, da parte di tutti. Ecco perché ho detto è tempo di responsabilità. Guardiamo le situazioni attuali, non apriamo altri scenari che potrebbero essere molto pericolosi.

 

D. – C’è qualcos’altro che vuole aggiungere? Un appello?

 

R. – Io vorrei realmente lanciare un appello alla speranza. Innanzitutto, al mondo dei lavoratori: una grande speranza di non perdere la calma in questo momento e di tenere ancora in piedi la speranza che qualcosa può succedere. E’ questo l’invito a tutti noi che siamo in questa situazione. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

 

Sullo sfondo della vicenda di Pomigliano d’Arco, acquistano particolare rilievo i diversi incontri che in questi giorni hanno posto al centro di dibattiti il tema dell’imprenditorialità e i nuovi modelli dell’impresa sociale, capaci di coniugare efficienza e solidarietà. Uno di questi seminari si è tenuto ieri a Incisa Valdarno, in provincia di Firenze, in preparazione alla 46.ma Settimana sociale dei cattolici italiani, che si svolgerà in ottobre a Reggio Calabria. Fabio Colagrande ha sentito sull’argomento uno dei relatori al Seminario, il prof. Luigino Bruni, doente associato di Etica ed economia presso l’Università di Milano–Bicocca:RealAudioMP3

 

R. - L'impresa sociale è una delle grandi innovazioni degli ultimi 20 anni, in Italia, perché nasce da un'intuizione secondo me fondamentale: cioè, che l'impresa è veramente sociale quando include chi è fuori e quando è capace di far diventare realtà marginali o escluse protagoniste per un mutuo vantaggio. In altre parole, l'idea che un'impresa sia veramente costruttrice di bene comune quando mette la persona al centro. La persona - come ben noto - non è l'individuo, termine che mette in risalto l'essere singolo, da solo. La persona invece è se stessa solo in rapporto con gli altri. Quindi, quando noi parliamo di "persona al centro" affermiamo subito la sua dimensione nei rapporti: anche mentre lavora, mentre produce, mentre consuma. Quando dunque l'impresa riconosce questa dimensione relazionale, personalista dell'impresa stessa e dell'economia, mette la persona al centro. E il principio personalista è alla base dell'articolo 41 della Costituzione.

 

D. - Qual è dunque la sua opinione sulla possibile riforma di questo articolo della Costituzione?

 

R. - Io credo che quell'articolo sia nato da un periodo di grande convergenza su alcuni elementi fondamentali della tradizione occidentale, cristiana. Quindi, per toccare l'articolo 41 c'è bisogno di grande attenzione a un livello molto profondo, perché quando si mette insieme che la libera iniziativa è importante ed è riconosciuta ma all'impresa è riconosciuta la funzione sociale, lì si stanno toccando dei pilastri della cultura occidentale, e cioè la libertà dell'individuo in rapporto alla comunità.

 

D. - Ma c'è un modello di impresa per il futuro, che possa coniugare le esigenze del territorio e la globalizzazione?

 

R. - Bè, certo, non c'è una ricetta semplice. Noi abbiamo una grande eredità, in Italia. L'Italia è il luogo dove sono nate, le imprese. Abbiamo una tradizione che affonda nell'umanesimo civile, nel Medio Evo, e da dove ci viene la visione per cui l'impresa non è "business is business", con l'aspetto l'economico separato dal civile. L'impresa nasce promiscua, nasce "meticcia", intrecciata con l'intera vita civile e culturale. Questo è il modello italiano. Noi siamo convinti che questa tradizione antica possa offrire oggi, in un'epoca globalizzata, un'idea di impresa che sappia coniugare le grandi esigenze della globalizzazione con le radici, con il territorio, con la città. Tornando a una tradizione che è cristiana, umanista, laica e cattolica insieme, possiamo oggi reimmaginare un'idea di impresa, di imprenditore, capaci di gestire le complessità contemporanee, di andare oltre la crisi.








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