La solidarietà del Consiglio Ecumenico delle Chiese al popolo di Haiti
Esprimere solidarietà alle vittime del terremoto del 12 gennaio scorso, offrire una
guida pastorale e riflettere sulle sfide che le Chiese affrontato nel tentativo di
servire il popolo haitiano. Con questo scopo ha preso il via ieri la visita di tre
giorni ad Haiti della delegazione ecumenica guidata dal segretario generale del Consiglio
ecumenico delle Chiese (Cec), il reverendo Olav Fykse Tveit. La delegazione, riferisce
l’Osservatore Romano, esaminerà i progetti in corso per la ricostruzione del Paese
e farà visita agli edifici delle diverse confessioni religiose andati distrutti. Infine,
pregheranno con i leader religiosi ad Haiti. Intanto, un appello accorato a non dimenticare
Haiti è stato lanciato nei giorni scorsi dall'arcivescovo di Cap-Haïtien e presidente
della Conferenza episcopale di Haiti, monsignor Louis Kébreau, nel corso di una visita
in Francia con il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi. Intensa emozione
ha suscitato nei vescovi francesi la testimonianza dell'arcivescovo haitiano circa
“le sofferenze dopo il terribile terremoto che ha colpito una popolazione già segnata
dalla precarietà e fortemente traumatizzata”. “Le persone che disponevano di una relativa
situazione sociale — ha scritto nel resoconto della visita del presule haitiano, mons.
Bernard Podvin, portavoce della Conferenza episcopale della Francia — hanno raggiunto
le file dei nuovi poveri”. L'arcivescovo Kébreau si è soffermato con i presuli francesi
sulla situazione drammatica in cui è piombata l'isola. “Il terremoto — ha detto —
ha colpito un popolo già fortemente segnato dalla precarietà e profondamente traumatizzato.
I morti non hanno altra possibilità di sepoltura se non la fossa comune. Non dimentichiamo
Haiti. I media cancellano troppo velocemente gli avvenimenti, inseguendone uno dopo
l'altro”. A più di cinque mesi dal terremoto l'emergenza non è finita. Circa cinquecentomila
sfollati vivono ancora nelle tendopoli costruite a Port-au-Prince e nelle città vicine,
in condizioni igieniche precarie che rischiano di aggravarsi. E almeno altrettanti
si stanno trasferendo nelle zone del Paese meno colpite dal sisma, mettendo a rischio
la convivenza in villaggi rurali che si ritrovano con un aumento di popolazione imprevedibile.
A Port-au-Prince, che contava con la sua area metropolitana almeno due milioni e mezzo
di abitanti prima del sisma, quattrocentosessantamila persone vivono sotto i teli
blu. Nel centro della città, una delle zone più colpite dal terremoto, la gente improvvisa
la vita accanto alle macerie della cattedrale, dei palazzi del potere distrutti, delle
chiese smembrate, degli edifici accartocciati su loro stessi. “Tutto deve essere ricostruito
— ha concluso l'arcivescovo Kébreau — l'educazione alla coscienza politica degli haitiani
è una vera priorità. La comunità internazionale non deve abbassare l'attenzione, Haiti
è in ginocchio”. Nel Paese più povero dell'America latina, migliaia di sopravvissuti
restano intanto esposti a smottamenti e inondazioni mentre è già iniziata la stagione
degli uragani. (M.G.)