Entrano nel vivo i preparativi del Sinodo per il Medio Oriente: riflessione di padre
Samir Khalim Samir
Dopo il viaggio del Papa a Cipro, con la consegnadell’Instrumentum laboris
per il prossimo Sinodo sul Medio Oriente, i preparativi dell’Assise sinodale sono
entrati nel vivo. L’Assemblea ha tra i suoi obiettivi principali quello di incoraggiare
e di rinsaldare nella fede le minoranze cristiane della regione. Ma com’è cambiata
la situazione dei cristiani in Medio Oriente negli ultimi decenni? Fabio Colagrande
lo ha chiesto al padre gesuita Samir Khalil Samir, docente di Storia della
cultura araba e Islamologia all’Università Saint-Joseph di Beirut e al Pontificio
Istituto Orientale:
R
– Il fatto più notevole è la riduzione del numero dei cristiani in quasi tutti i Paesi
del Medio Oriente. Là dove la situazione è più preoccupante è nelle regioni in guerra:
la Palestina e l’Iraq. Ma ci sono altre situazioni più generali che hanno lo subito
stesso effetto o un po’ meno. Il fatto che il Medio Oriente sia in continua ebollizione,
in condizioni d'instabilità, fa sì che i cristiani siano i primi a subirne le conseguenze
perché sono minoranza e non hanno protezione da parte del governo. Infine, l’aspetto
forse più grave per il futuro, è l’aumentare del radicalismo islamico. Il fatto stesso
di realizzare il gemellaggio tra politica e religione, il fatto che in Egitto la Sharìa
sia diventata la norma – è stata inserita nella Costituzione – per decidere di tutto,
significa che siamo sotto la legge islamica allorché siamo cristiani. Questa legge
islamica è, in alcuni punti, in opposizione radicale con la Carta Universale dei Diritti
dell’Uomo e dunque, ancora una volta, nessuno ci protegge. Cioè, l’aggressione può
essere fisica – militare – oppure essere più indiretta: economica, politica, di detenzione,
eccetera …
D. – A proposito dell’aumento del radicalismo
islamico, nel Documento di lavoro per il Sinodo si condanna l’islam politico ma c’è
anche un forte appello al dialogo e alla collaborazione tra le religioni. Come conciliare
questi due aspetti?
R. – La critica è una critica proprio
a favore anche dell’islam. Cioè, dobbiamo comprendere lo scopo del Sinodo e dei cristiani
in genere: non è quello di combattere 'chiunque', ma di combattere il male. Che il
male sia nel cuore del cristiano – in primo luogo – o nel cuore di altri: musulmani,
ebrei, atei, chiunque siano, o di istituzioni. Ora, l’islam politico è un male; è
un male per il musulmano in primo luogo. Significa che in nome della fede io decido
di mettere in prigione qualcuno, di uccidere un altro, con qualunque pretesto. In
nome della Sharìa. Queste sono espressioni dell’islam politico, e le espressioni più
forti sono le violenze alle quali assistiamo. Ora, queste violenze – in Iraq, in Palestina,
in Pakistan, in Afghanistan – non sono contro i cristiani in primo luogo: sono contro
i cittadini che in maggioranza sono musulmani. La critica all’islam politico è che
in sé non è compatibile con il concetto di cittadino moderno, e per questo noi diciamo:
è inaccettabile perché toglie la libertà, perché toglie la democrazia, perché permette
facilmente una teocrazia o una autocrazia. Come mai, allora, parliamo di “dialogo”?
Ma perché tutto lo scopo è il dialogo! Il progetto cristiano, sottolineato nel Sinodo,
è di costruire insieme una città per l’uomo: musulmani, che sono la maggioranza,
cristiani, ebrei, atei … Stiamo difendendo la libertà umana, l’uomo, l’essere umano.
E diciamo: non possiamo, in nome di Dio, combattere l’uomo. Non possiamo dire: la
Sharìa passa in primo piano. E’ come se io dicessi: il diritto canonico supera la
Costituzione. No! L’idea è che vogliamo una società che si avvicini alla vera democrazia
e ai diritti umani. Allora, quando si organizza in nome di Dio un progetto politico
che va contro, per forza dobbiamo combatterlo!