2010-06-11 14:32:44

La comunità cattolica in Turchia dopo l'uccisione di mons. Padovese non perde la fiducia nel dialogo


E’ giunta ieri a Milano la salma di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia e presidente della Conferenza episcopale di Turchia assassinato lo scorso 3 giugno dal suo autista, Murat Altun. La camera ardente sarà aperta fino a domenica - dalle 8 alle 20 - nel convento dei francescani di viale Piave. Lunedì mattina, alle 10.30, l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, celebrerà i funerali in Duomo. Sull’assassinio efferato del presule permangono dubbi e polemiche. Secondo l’arcivescovo metropolita di Smirne, mons. Ruggero Franceschini, l’efferata azione è riconducibile a qualcosa che va “verso gruppi che vogliono destabilizzare il governo turco”. Secondo il presule, l’omicida può essere visto come “uno strumento” in mano a tali gruppi. Mons. Franceschini ha poi sottolineato che occorre solo la verità e non menzogne per far piena luce sul delitto. In quest’Anno Sacerdotale la piccola comunità cattolica della Turchia ha dunque perso il suo pastore: i fedeli sono ancora sgomenti per l’accaduto, ma non sfiduciati, come ci riferisce Maria Grazia Zambon, una laica consacrata della diocesi di Milano, collaboratrice pastorale di mons. Padovese, e che dal 2001 vive in Turchia. Fabio Colagrande l’ha intervistata:RealAudioMP3

 

R. – Siamo ancora sotto shock per il grande lutto che stiamo vivendo e siamo molto sgomenti, perché non ci aspettavamo assolutamente questo evento.

 

D. – Che tipo di persona, che tipo di sacerdote era mons. Padovese?

 

R. – Prima di tutto credo che non fosse un semplice sacerdote. Per noi era il vescovo, quindi nostro pastore e nostra guida. Proprio per questo adesso sentiamo questo grande vuoto. La cosa che colpiva sempre è che era un grande studioso, appassionato della Turchia e della gente di qua e accanto a questo aveva una grande semplicità, una grande disponibilità a dialogare con tutti e a cercare di intessere relazioni con tutti, con i semplici, con le autorità civili, con i vescovi delle altre Chiese e anche di altre religioni.

 

D. – Come viveva il dialogo interreligioso mons. Padovese?

 

R. – Sicuramente a più livelli. Prima di tutto, essendo in una terra prevalentemente non cristiana, con il dialogo di tutti i giorni. Come sappiamo nella sua casa aveva dipendenti non cristiani. Quindi, intesseva questo dialogo quotidiano con la gente, con i vicini e così via. Poi, però, anche cercando di costruire e di collaborare con le autorità civili e le autorità religiose ad alto livello, quindi anche teologico.

 

D. – Qual era il suo atteggiamento di fronte alle limitazioni che la libertà religiosa dei cristiani subisce, di fatto, in Turchia?

 

R. – Penso che gli atteggiamenti fossero molteplici. Primo, una grande sofferenza per lui, pastore e quindi guida della Chiesa, nel vedere come la Chiesa non sempre possa esprimersi, non possa avere dei luoghi dove ritrovarsi e quindi dove pregare, dove stare insieme. E, in secondo luogo, comunque operando anche attivamente con chi di dovere, anche con il governo, con i ministri, perché questa libertà fosse reale e non solo sulla carta.

 

D. – Voi vedevate la sua fatica, la sua sofferenza in questa situazione...

 

R. – Sì, anche però la cosa che stupiva sempre era questa serenità di fondo, che lui continuava a mantenere. Lui più volte ha detto di pregare anche per lui, per questa sua missione, per questo suo servizio in questa terra. Ma poiché è sempre stato appassionato della vita, bastava poco perché gli ritornasse la serenità sul volto.

 

D. – Aveva una grande attenzione anche per i pellegrini che giungevano in Turchia sui luoghi di Paolo, non è vero?

 

R. – Certo, lui ha conosciuto la Turchia proprio attraverso questi viaggi, che lui stesso ha iniziato, ha promosso, ha voluto, ancor prima di essere vescovo qui e ha istituito tanti simposi, tanti convegni, proprio per far conoscere la Turchia cristiana. E ha avuto grande influenza la sua presenza e la sua attività durante l’Anno Paolino.

 

D. – Come comunità cristiana in Turchia avete ricevuto molti messaggi di condoglianze dopo l’uccisione di mons. Padovese?

 

R. – Innumerevoli, veramente da tutte le parti del mondo e da tutte le parti della Turchia.

 

D. – So che è una domanda difficile ... ma come guardate al vostro futuro di cristiani in questa terra ora?

 

R. – Sicuramente dopo il primo sgomento e – ripeto – questo vuoto, noi siamo fiduciosi. Siamo fiduciosi perché crediamo che la sua morte abbia un senso, non sia vana e il suo sangue porterà frutto anche in questa terra.

 

D. – Mons. Padovese resterà per voi un punto di riferimento?

 

R. – Certamente. Penso che proprio adesso anche noi dovremo rileggere tutti i suoi scritti, le lettere pastorali che ha scritto in questi anni, in cui continuamente ci incoraggiava, ci spronava ad essere testimoni del Vangelo e fedeli alla Chiesa, proprio come San Paolo.








All the contents on this site are copyrighted ©.