Aumentano le azioni violente contro i sindacalisti nei Paesi in via di sviluppo
Almeno 101 morti e migliaia di incarcerazioni, minacce e intimidazioni. E’ il bilancio
di una vera e propria persecuzione in atto nei confronti dei sindacalisti dei Paesi
in via di sviluppo quello reso noto nell’ultimo rapporto annuale sullo stato dei diritti
dei sindacati, diffuso ieri dall’ International confederation of trade unions (Ituc),
in concomitanza con la conferenza annuale dell’Organizzazione internazionale del lavoro
(Ilo) delle Nazioni Unite che si tiene a Ginevra. Secondo il documento citato dalla
Misna, il Paese più pericoloso per difendere i diritti dei lavoratori resta la Colombia,
con 48 sindacalisti uccisi, seguito dal Guatemala (16) dall’Honduras (12) dal Messico
e Bangladesh (6) dal Brasile (4), da Repubblica dominicana e Filippine (3) e da India,
Iraq e Nigeria (1). Il rapporto dell’Ituc mette a fuoco un peggioramento generale
delle condizioni in cui si trovano ad operare i sindacati e i difensori dei diritti
dei lavoratori e di un clima che vede governi e industrie utilizzare la crisi economica
come pretesto per indebolire o minare alle fondamenta le conquiste sindacali dei decenni
precedenti. Proprio questo clima – che di fatto sta rivedendo gli standard internazionali
minimi di lavoro finora accettati – ha fatto sì, sempre secondo il rapporto, che oggi
il 50% della forza lavoro planetaria sia impiegata in “condizioni di lavoro precarie”,
nelle quali è più facile marginalizzare il ruolo dei sindacati. Un clima di ostilità
nei confronti del mondo sindacale, alimentato da governi e aziende del nord del mondo,
che in qualche misura viene interpretato come corresponsabile dell’aumento nelle azioni
violente contro i sindacalisti nei Paesi in via di sviluppo. (M.G.)