Due gesuiti affrontano in un libro lo scandalo della pedofilia nella Chiesa
E’ stato presentato a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana, davanti a
oltre un centinaio di studenti di varie nazionalità e alcuni giornalisti, il libro
“Chiesa e pedofilia: una ferita aperta” (Àncora Edizioni). Scritto a quattro mani
dai due padri gesuiti Giovanni Cucci e Hans Zollner, il testo propone un approccio
psicologico-pastorale alla questione. “Un lavoro né polemico né apologetico, ma strumento
aperto e non definitivo di interpretazione del problema oggi, nella nostra cultura”:
così ha definito il volume padre Franco Imoda, già preside della facoltà di psicologia
alla Gregoriana”. Antonella Palermo ha chiesto a uno dei due autori, padre
Giovanni Cucci, scrittore de La Civiltà Cattolica e docente di Psicologia e Filosofia
alla Gregoriana, una sua riflessione su come sia stata affrontata la vicenda dai mass
media:
R.
– Alcune volte ho avuto l’impressione di un’attenzione "particolare" verso i preti
cattolici. Una delle ipotesi che io mi sono fatto, tra altre, è che comunque l’insegnamento
della Chiesa è scomodo, soprattutto sul piano morale e sessuale, e molti vorrebbero
metterlo a tacere togliendogli credibilità, anche usando questo problema per dire
che l’insegnamento della Chiesa non ha valore e dev’essere rifiutato. Un altro aspetto
che mi ha colpito è che chi aveva competenza ha taciuto ed ha indirizzato il dibattito
su alcuni punti che erano del tutto irrilevanti. Per esempio, si è parlato molto del
legame tra pedofilia e celibato: è una falsità perché la maggioranza delle persone
incriminate per pedofilia sono sposati con figli. Il 90 per cento dei casi di pedofilia,
secondo i dati del Censis, avviene tra le mura domestiche. E tra i preti protestanti
la percentuale dei casi denunciati di abuso è dieci volte superiore a quelli della
Chiesa cattolica.
D. – Partiamo dalle dimensioni di
questo fenomeno nell’ambito della Chiesa, e dunque tra i sacerdoti...
R.
– Sì, nel libro riportiamo le statistiche presentate soprattutto da mons. Scicluna
che si è occupato, per la Congregazione per la Dottrina della Fede, di questo problema,
rilevava che erano arrivate circa 3 mila denunce di casi di abusi. Di queste 3 mila
denunce che riguardavano sacerdoti della Chiesa cattolica, circa 300 riguardano specificamente
il problema della pedofilia. Anche qui, quando diciamo “pedofilia” noi parliamo abusi
su un minore che abbia meno di 13 anni. Per la maggioranza dei casi, si trattava invece
di problemi di “efebofilia”, cioè letteralmente un’attrazione sessuale verso un adolescente
di sesso maschile, o "efibilia", nel caso di adolescenti di sesso femminile. E la
maggioranza dei casi riguardano questo aspetto, che ha una situazione di psicodinamica
e soprattutto di possibilità terapeutiche molto diverse che nei casi di pedofilia.
Attualmente i casi di preti incriminati per abusi sui minori rappresenta circa il
3-4 per cento della totalità delle persone accusate per questo reato.
D.
– Molti fanno rilevare che questa non è una giustificazione …
R.
– Certo! Il problema della pedofilia rimane grave, all’interno della Chiesa. Quello
che veniva rilevato come assenza di statistiche era per cercare di capire il problema,
non tanto per giustificarsi!
D. – Generalmente, le cause
che portano ad un atteggiamento di pedofilia quali sono?
R.
– Sono molte. Nella maggioranza dei casi, c’è una situazione di abuso precedente,
e per abuso non si intende solamente un abuso sessuale. Anche una situazione di grande
violenza fisica subita in famiglia, oppure di mancanza di sentimenti, di comunicazione
affettiva può portare a questo. L’altro aspetto su cui, all’interno della Chiesa cattolica
è importante riflettere e a cui il libro è dedicato, è di interrogarsi sulla formazione
che si vuole dare ai sacerdoti. Anzitutto, conoscere le persone che chiedono di diventare
sacerdoti e religiosi, in tutti i suoi aspetti, e soprattutto proprio nella dinamica
sessuale, nella storia pregressa.
D. – Una valutazione
superficiale dell’iter che porta a diventare sacerdote da parte dei formatori dipende,
secondo lei, da una eccessiva preoccupazione tra i pastori della Chiesa per il calo
delle vocazioni?
R. – Qualche volta può essere stato
così. Altre volte, io penso anche ad una certa responsabilità da parte di chi ha operato
nel settore della psicologia, perché negli anni Sessanta e Settanta si è avuta un
po’ troppo l’illusione che la psicologia fosse la bacchetta magica che aprisse tutte
le porte. E spesso si è fatto riferimento ad antropologie non orientate verso la trascendenza:
non erano orientate verso Dio, verso il mistero dell’uomo, e si è fatto disastri,
da questo punto di vista.
D. – Secondo lei, la Chiesa
si è trovata un po’ sprovveduta e impreparata nell’affrontare questo scandalo?
R.
– Forse c’è stato un senso quasi di stupore e di spavento, come si reagisce in un
ambiente familiare quando si viene a sapere che una persona, magari anche una persona
conosciuta, si è macchiata di qualcosa di grave. Anche perché la personalità del pedofilo
è veramente complessa! Comprende il padre di famiglia, il professionista, comprende
sacerdoti, comprende persone veramente insospettabili! Va anche aggiunto che la bufera
mediatica si è concentrata proprio su colui che invece aveva fatto più di altri per
contrastare questo problema, e cioè l’allora cardinale Ratzinger, che adesso è Papa
Benedetto XVI. Io ho ammirato la capacità di Benedetto XVI di affrontare il problema,
di incontrare le vittime, di voler andare avanti nel fare chiarezza e nel prendere
provvedimenti. Questo, naturalmente, è un altro degli insegnamenti che deve arrivarci
da quanto capitato: la capacità di comunicare e di parlare di ciò che capita all’interno
della comunità ecclesiale. Senza paura.