Un incoraggiamento per le comunità cristiane: così padre Pizzaballa sull'Instrumentum
laboris
Il Papa ieri, al termine della Messa celebrata presso il Palazzo dello Sport di Nicosia,
ha consegnato l’Instrumentum laboris, il documento di lavoro del Sinodo per il Medio
Oriente. L’Assemblea dei vescovi – ha affermato Benedetto XVI - desidera incrementare
l’unità tra le Chiese e incoraggiare i cristiani di quelle terre nella testimonianza
della fede, che avviene spesso in situazioni difficili. Su questo testo ascoltiamo
il commento del Custode di Terra Santa, il padre francescano Pierbattista Pizzaballa,al microfono di Sergio Centofanti:
R.
– E’ sicuramente un documento importante, che ha preso in considerazione le osservazioni
che sono giunte dalle diverse comunità della regione e che sarà una buona base di
partenza per i lavori che si svolgeranno il prossimo ottobre. L’Instrumentum è ben
fatto. Adesso dipenderà dai Padri sinodali partire da questa base per sviluppare le
diverse argomentazioni sulla vita del Medio Oriente e in Terra Santa, in particolare.
D.
– Il documento parla di “piccolo gregge" dei cristiani del Medio Oriente e definisce
i due obiettivi principali del Sinodo e cioè rafforzare i cristiani nella loro identità
e ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese per offrire una testimonianza di
vita cristiana autentica...
R. – Sì,
quando si è una piccola minoranza sparsa in questo grande Medio Oriente, il problema
dell’identità è sempre molto forte, perché si è schiacciati dalle grandi maggioranze
e anche dalle grandi sfide culturali e sfide del tempo. In Terra Santa poi ci sono
due comunità maggioritarie: quella ebraica innanzitutto e poi quella musulmana. Quindi,
il problema dell’identità emerge con forza. Identità che si deve difendere, custodire,
non chiudendosi a riccio, ma nella formazione, nell’ambito dell’educazione, nella
coscienza di sé serena nei confronti dell’altro. Poi, l’altro aspetto molto importante
è la comunione. Il Medio Oriente è noto e conosciuto per essere ricchissimo di tante
tradizioni diverse, che poi però possono correre il rischio di richiudersi una di
fronte all’altra, quando non l’una contro l’altra. La comunione, essendo poi soprattutto
numeri piccoli, è la prima testimonianza che i cristiani devono dare alle grandi maggioranze,
soprattutto musulmana, in tutto il Medio Oriente.
D.
– Il documento sottolinea l’urgenza del dialogo con ebrei e musulmani, ma non nasconde
le difficoltà dei rapporti con queste due maggioranze...
R.
– Sì, è la sfida principale. Da un lato, bisogna evitare di cadere nei copioni già
scritti, quindi passare noi come le vittime di queste grandi maggioranze. Oppure,
dall’altro, dire che va tutto bene e rimanere, insomma, nelle cose già dette. E’ importante
mantenere chiara la propria identità, è importante trovare canali di comunicazione
con la società, con l’islam e con l’ebraismo. Non solo, quindi, con il giudaismo e
l’islam, ma anche con le società che sono permeate di islam e di ebraismo: con le
popolazioni, non solo con le religioni. Quindi, la Chiesa ha il dovere – e questa
è la sfida principale – di trovare un canale di comunicazione con le popolazioni,
con le autorità educative dei vari Paesi, per mantenere viva la propria testimonianza
e anche la serenità delle comunità cristiane.
D.
– I mass media hanno messo l’accento, in particolare, su un passo del documento, dove
si parla dell'occupazione israeliana dei Territori palestinesi...
R.
– Questa è una cosa dolorosa, è una ferita aperta per la vita della comunità cristiana
di Terra Santa, che è evidente. Quindi, quando si parla del dialogo, soprattutto il
dialogo con l’ebraismo e con Israele in Terra Santa, non puoi evitare di parlare del
conflitto, e la sfida è proprio qui. Non bisogna limitarsi però a parlare del conflitto,
perché non può essere l’unico criterio di interpretazione dei rapporti tra noi, perché
la società israeliana è composta di tante anime, di tante opinioni, e non sono tutti
soldati. Questa sarà anche la sfida per la Chiesa, per trovare canali giusti di comunicazione
con la società israeliana, che non prescinda dalla situazione politica, dal dolore
di tante famiglie palestinesi, ma che sappia anche dare delle prospettive per andare
oltre.
D. – Si sottolinea anche che
l’estremismo islamico sta crescendo e che costituisce una minaccia per tutti, anche
per i musulmani...
R. – Sì, non è un
problema contro i cristiani, è un problema della società musulmana che colpisce sicuramente
anche la minoranza cristiana, che si sente in alcune parti – penso all’Iraq, ma non
solo – sempre più esclusa dalla vita pubblica, dalla vita civile. E’ importante, dunque,
proprio per mantenere viva la propria identità, affermare con forza e chiarezza e
determinazione i diritti di tutti, della democrazia, e allo stesso tempo evitare generalizzazioni
e dire che i musulmani sono contro i cristiani. Questa è una generalizzazione che
facilita il fondamentalismo paradossalmente, non il contrario.
D.
– C’è un appello forte alla libertà religiosa e si dice anche che i musulmani non
fanno distinzioni tra religione e politica, cosa che mette i cristiani nella situazione
delicata di "non cittadini"...
R. –
Esattamente, è un problema serio questo, perché in Medio Oriente le identità sono
definite dall’appartenenza religiosa, per cui se tu non sei un buon musulmano, una
delle accuse è che non sei un buon cittadino. Per essere buoni cittadini, qui, bisogna
essere musulmani, ma questo ovviamente non può essere ammesso, non può essere accettato
dalle comunità cristiane, che dovranno con forza, determinazione, ma serenamente,
senza polemiche, ribadire il proprio diritto. I cristiani sono pieni cittadini del
Medio Oriente, sono nati qui, resteranno qui e hanno tutti i diritti di cittadinanza,
senza doverla giustificare, per nessuna ragione al mondo.
D.
– Si lancia anche l’allarme dell’emigrazione cristiana e si dice che la scomparsa
dei cristiani rappresenterebbe una perdita per il pluralismo del Medio Oriente...
R.
– Assolutamente sì, è un problema purtroppo vecchio quello dell’emigrazione dei cristiani.
Dal Medio Oriente, in genere, si tende ad emigrare e i cristiani, che sono già una
piccola minoranza, tendono ad assottigliarsi sempre di più. I cristiani, però, sono
nati in Medio Oriente. Siamo nati qui, in Terra Santa, che è ricchissima di tradizioni
cristiane e la scomparsa della presenza cristiana sarebbe anche la scomparsa di un
retaggio culturale molto importante e anche di una ricchezza di vita, di pluralismo
che il Medio Oriente ha sempre avuto e conosciuto.
D.
– Il documento parla anche della crisi delle vocazioni...
R.
– Il problema delle vocazioni è un problema purtroppo di tutta la Chiesa. Vocazioni
ce ne sono, ma si tratta, come in tutto il mondo, di qualificare e preparare meglio
i nostri candidati alle sfide culturali che il Medio Oriente pone in maniera sempre
più evidente e pressante.
D. – Le sue
speranze per questo Sinodo...
R. La
mia speranza è che tutti questi argomenti, che sono stati sollevati dall’Instrumentum
laboris, che sono veramente tanti, possano essere approfonditi, elaborati, sempre
meglio, sempre di più, e che si possano avere a conclusione due, tre linee pastorali
evidenti, chiare, per tutte le comunità cristiane che sono in Medio Oriente e che
possano quindi sentirsi ancora più incoraggiate e abbiano soprattutto un’indicazione
chiara da parte dei loro pastori su dove la Chiesa vorrà camminare nelle prossime
generazioni in Medio Oriente.