Omaggio a mons. Padovese, uomo del dialogo e dell'ascolto
Quello di oggi è un giorno di grande tristezza per tutta la Chiesa e per il Papa,
che mons. Luigi Padovese rappresentava in Turchia come vicario apostolico dell’Anatolia.
Lo è in particolare per la Chiesa turca della quale era il capo, e per quella italiana
dalla quale proveniva. E lo è per la stessa realtà sociale e civile della Turchia:
in un messaggio indirizzato stamattina a Benedetto XVI, il presidente Abdullah Gul
ha riconosciuto e apprezzato “i servigi resi da mons. Padovese per l'amore e la fratellanza”
tra cristiani e musulmani. E’ questo il sentimento dominante a 24 ore dall’assassinio
del presule milanese, perpetrato dal suo autista e collaboratore, il 26. enne Murat
Altun. Il giovane, subito arrestato dalla polizia turca, è stato formalmente incriminato
oggi da un tribunale di Iskenderun, la località dove si è consumato l’omicidio e dove
si indaga per chiarirne il movente, mentre aumentano di ora in ora le attestazioni
di cordoglio. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Stretti
in un grande abbraccio, che è insieme preghiera e desiderio di dare e ricevere, consolazione
per una perdita improvvisa, inattesa, brutale. Dalla Germania alla Grecia, passando
per l’Italia, moltissimi episcopati hanno comunicato la propria commozione per la
morte violenta di mons. Luigi Padovese. “Mentre deploriamo il barbaro assassinio
ci uniamo al dolore dei fedeli di codesta Chiesa, che ancora una volta viene provata
così duramente, ed esprimiamo la più sentita vicinanza e solidarietà nostra e dell'intero
episcopato italiano”. Queste sono le parole del presidente dei vescovi italiani, il
cardinale Angelo Bagnasco, tra i primi a esprimere i sentimenti di un cordoglio che
non ha cessato fin qui di diffondersi in modo unanime. Da Milano – città natale del
presule ucciso e dove ancora una decina di giorni fa si trovava in visita alla famiglia,
oltre che per presiedere una celebrazione di cresime nella vicina Lecco – il cardinale
arcivescovo della Chiesa ambrosiana, Dionigi Tettamanzi, piange la scomparsa di “un
figlio della nostra terra che – scrive – ha servito con dedizione la Turchia”. Una
dedizione che in modo significativo emerge, oltre che dalle parole del presidente
Gul, anche da quelle del ministro turco della Cultura, Ertugrul Gunay, per il quale
mons. Padovese, si è distinto per “il prezioso operato alla cultura della comprensione”
tra la minoranza cattolica e la maggioranza islamica del Paese. Sgomento è stato espresso
anche dal presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, in un messaggio
inviato al Papa.
Le indagini, scattate
immediatamente dopo l’omicidio, hanno portato all’arresto e all’incriminazione di
Murat Altun, il giovane autista e collaboratore di mons. Padovese. Da chiarire ancora
il movente di un gesto che i primi interrogatori non hanno fin qui contribuito a svelare.
E si attendono anche i risultati dell’autopsia condotta questa mattina sulle spoglie
del presule, che potrebbero fornire elementi utili sulla dinamica dell’assassinio.
Mentre si predispone per la celebrazione delle esequie del presule, i Frati cappuccini
di Iskenderun hanno annunicato una veglia di preghiera comune tra cristiani e musulmani,
che nelle intenzioni precederà l’arrivo della salma di mons. Padovese in Italia, nella
sua Milano, dove il religioso sarà sepolto accanto alla madre, così come aveva chiesto.
“Colpisce
in modo particolare che ad uccidere sia stata una mano amica, una persona di cui mons.
Padovese si fidava”. E’ una constatazione addolorata quella che esprime padre Domenico
Bertogli, vicario generale del Vicariato apostolico d’Anatolia, che in queste
ore sta seguendo gli sviluppi della tragica vicenda. Massimiliano Menichetti
lo ha contattato telefonicamente poco fa:
R.
– Ieri sera, per prima cosa, abbiamo fatto una celebrazione con i sacerdoti che erano
qui e hanno partecipato anche tante persone in lacrime: erano cristiani cattolici,
cristiani ortodossi ed anche non cristiani. R. – E’ stato ucciso da una persona di
fiducia, al quale ha dato tanta fiducia, che è stato sempre molto vicino… un amico!
Era una persona in cui aveva riposto tutta la sua fiducia!
D.
– Il perché ancora non è chiaro …
R.
– Questo ragazzo stava attraversando un periodo di depressione; quando queste persone
compiono atti simili, nessuno sa cosa scatta nel loro cervello …
D.
– Mi può confermare che i funerali saranno ad Iskenderun?
R.
– Sì: qui ad Iskenderun si celebreranno lunedì alle quattro del pomeriggio; dopo la
salma sarà preparata per essere portata in Italia, a Milano, dove arriverà mercoledì
mattina. Questa sera celebreremo una Messa e domani sera, alle 8.30 ora locale, ci
sarà una veglia leggendo i suoi scritti, le sue parole.
D.
– Mons. Padovese era amato anche dai non cristiani…
R. – Sì,
era amato un po’ da tutti, perché era un uomo del dialogo, del rispetto, una persona
amabilissima, semplicissima, sempre disponibile al sorriso, all’ascolto.
D.
– Molti hanno parlato di mons. Padovese come un ponte tra Oriente ed Occidente...
R.
– Sì, lui ha sempre cercato, appena arrivato, di dialogare con il vescovo ortodosso
di Aleppo. Erano molto amici e si trovavano insieme in tante occasioni, dialogavano,
pregavano insieme, specialmente per la festa di San Pietro. Era un momento che aiutava
il dialogo, la comprensione e il rispetto vicendevole, che penso fossero passi importanti
per cercare di camminare sulle strade dell’ecumenismo, cosa importante specialmente
nella zona in cui ci troviamo.
D. – Una sua testimonianza
personale...
R. – Quando ci sono questi
drammi soffre tutta la Chiesa e soffre la Chiesa in particolare in cui ha lavorato,
in cui è vissuto, in cui ha sofferto e ha gioito. Mons. Padovese quando arrivò ci
disse: “Sono cristiano come voi e voglio vivere come cristiano”. E citava una frase
di Tertulliano: “Sono il vostro vescovo, ma sono con voi un cristiano”. Ecco, io penso
che questo lui l’abbia fatto sempre con molta semplicità ed umanamente parlando, e
anche cristianamente, in maniera esemplare.
D.
– Padre Bertogli, che cosa lascia mons. Padovese?
R.
– Ha aperto la via al dialogo, al rispetto vicendevole, al desiderio di trovare sempre
la maniera di poter camminare insieme.
La drammatica notizia
della morte del vicario apostolico in Anatolia ha raggiunto Benedetto XVI e i suoi
collaboratori alla vigilia della partenza per Cipro. Una circostanza sula quale si
sofferma il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi:
R.
– Certamente, colpisce il fatto che questo avvenga proprio quando il Papa ci invita
a pensare al Sinodo per i vescovi del Medio Oriente, alle comunità della Chiesa nel
mondo mediorientale che sono comunità di minoranza, quindi anche con una loro fragilità
e un senso di debolezza e di povertà. Si vede che veramente il Signore anche attraverso
questo segno vuole richiamare la nostra attenzione per una grande solidarietà nella
preghiera, nell’interessamento, nell’appoggio per queste comunità per quanto sta in
noi e anche per quanta sta nella ragionevolezza, nella giustizia, nella solidarietà
da parte delle società che le circondano.
D.
– Questo drammatico episodio influenzerà in un certo qual modo la visita del Papa
a Cipro?
R. – Certamente
le darà un tono diverso da quello che avrebbe avuto senza di esso. Dà un tono di grande
intensità alla preghiera, di grande serietà di ciò che è in gioco, la testimonianza
del Vangelo può costare anche la vita. Ecco, questo ci invita a viverequesti
incontri e questo pellegrinaggio del Papa nel cuore del Medio Oriente con una intensità
spirituale e con una comprensione della serietà di ciò che è in gioco.
Nominato
nel 2004 come vicario apostolico d’Anatolia da Giovanni Paolo II, mons. Luigi Padovese
era sempre stato ben consapevole del complesso impegno che comportava il radicare
una piccola realtà cattolica in un più ampio contesto di relazioni col mondo musulmano,
spesso difficili. Lo conferma in questa intervista rilasciata nel 2006 alla vigilia
del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Turchia. Al microfono di Sergio Centofanti,
il presule descriveva così le caratteristiche dei laici cattolici nel Paese:
R.
– Estremamente variegati perché se c’è in alcuni un impegno forte, una coerenza cristiana
che non si nasconde ma si professa apertamente c’è anche, invece, chi per ragioni
di sopravvivenza, preferisce non parlare della propria fede e non dare troppo nell’occhio.
Anche questi sono cristiani presenti in Turchia, cristiani che almeno ancora si dicono
tali; altri, nei decenni passati, hanno preferito percorrere un’altra strada, di una
totale omologazione con il mondo musulmano, rinunciando anche alla propria identità
religiosa.
D. – Vi sentite un po’ come
i cristiani ai tempi di San Paolo?
R.
– No, perché non ci sentiamo degli eroi. Ci sentiamo persone che devono lottare ogni
giorno con tante difficoltà e chiediamo che anche dall’Europa arrivi un pochino di
preghiera per rafforzarci in questa situazione che a volte diventa un po’ pesante.
D.
– Cosa chiedete alla Chiesa universale? Quale aiuto?
R.
– C’è l’aiuto della comunione dei Santi, che è la preghiera. E l’altro aiuto è rendersi
conto che ci siamo anche noi, cioè che esiste una piccola comunità cristiana che,
tra l’altro, è erede delle prime comunità cristiane …
D.
– C’è bisogno anche di aiuto materiale, economico?
R.
– Siamo Chiese “senza fondo”, nel senso che quando arrivano dei soldi, finiscono subito;
Chiese che hanno bisogno veramente di essere un po’ sostenute anche economicamente,
e questo spiega il mio continuo viaggiare da qui all’Italia, alla Germania, alla Turchia,
avanti, indietro, sempre in una ricerca di sostegni economici che ci permettano di
andare avanti.
D. – Non è facile essere
cristiani di frontiera?
R. – Siamo cristiani
con tutte le difficoltà che si possono provare, diciamo, anche in Europa, con qualche
cosa in più: che non ci troviamo in un ambiente cristiano, ma siamo una minoranza
all’interno di un mondo musulmano: ed essere minoranza in un mondo musulmano non è
la stessa cosa che essere minoranza in Europa.