Dolore e sgomento per l’assassinio di mons. Padovese. Arrestato il suo autista. Escluse
motivazioni politiche e religiose
C’è dolore e sgomento in tutta la Chiesa per l’uccisione ieri del vicario apostolico
dell’Anatolia, monsignor Luigi Padovese, assassinato nella città di Iskenderun per
mano del suo autista, secondo la ricostruzione delle autorità locali. Tanti i messaggi
di cordoglio: i vescovi italiani deplorano il “barbaro” gesto e si uniscono al dolore
della Chiesa Cattolica in Turchia, ancora una volta provata così duramente. I presuli
tedeschi chiedono di fare luce “sul tragico fatto di sangue”. Il servizio di Gabriella
Ceraso
L’ultima
volta nella sua Milano mons. Padovese c’era tornato una decina di giorni fa per abbracciare
la famiglia, lì era nato nel 1947 e da lì era partito come cappuccino per diventare
vicario apostolico dell'Anatolia e poi presidente della Conferenza episcopale turca.
Ed è probabile che sia proprio Milano ad accoglierne i funerali: dalla sua città ieri
sera nella solenne celebrazione del Corpus Domini le parole dell’arcivescovo, il cardinale
Tettamanzi, hanno riecheggiato quelle di tutta la Chiesa, dal Papa ai vescovi ai suoi
più vicini collaboratori e delle autorità politiche italiane: un dolore profondo per
la scomparsa violenta di un servitore della pace. Le circostanze, su cui farà luce
l’autopsia, ancora non sono chiare, ma dalle prime ricostruzioni sembra che l’uccisione
a coltellate del prelato, sia stata compiuta in tarda mattinata ieri nella sua casa
del mare a Iskendrun, dove era andato a riposare. In casa con lui l’autista e amico
Murat Altun, turco, da oltre quattro anni al servizio del presule e già arrestato
dalla polizia. Da tempo era sotto cura psicologica e mons. Padovese stava cercando
di aiutarlo. Le autorità della provincia turca di Hatay escludono il movente politico,
il nunzio apostolico in Turchia mons. Antonio Lucibello anche il fanatismo religioso:
non ci sono legami, dice, tra questo episodio e l’omicidio a Trebisonda di don Andrea
Santoro nel 2006 per mano di un estremista islamico.
"Un fatto
orribile, siamo costernati": così il direttore della Sala Stampa vaticana padre
Federico Lombardi al microfono di Massimiliano Menichetti
Siamo
estremamente sconcertati e addolorati. E’ un fatto tristissimo. Volevamo incontrare
mons. Padovese domenica a Cipro perché il Papa doveva consegnare al Consiglio per
il Sinodo per il Medio Oriente, di cui Mons. Padovese fa parte come presidente dei
vescovi della Turchia, il documento del Sinodo. E invece ci arriva questa notizia
che è veramente drammatica.
D. Che cosa si sa per quanto
riguarda il movente?
Lombardi: Siamo praticamente certi
che non ci sono moventi di carattere politico o di intolleranza religiosa, che non
sono connessi con la situazione di tensione di questi giorni perché l’autore che,
da quanto risulta, sarebbe una persona che faceva dei servizi in casa ed era anche
l’autista di Mons. Padovese soffriva di squilibrio psichico e in particolare negli
ultimi giorni di depressione abbastanza evidente.
D.
Questo drammatico episodio influenzerà in un certo qual modo la visita del Papa a
Cipro?
Lombardi: Certamente le darà un tono diverso
da quello che avrebbe avuto senza di esso. Dà un tono di grande intensità alla preghiera,
di grande serietà di ciò che è in gioco, la testimonianza del Vangelo può costare
anche la vita. Ecco questo ci invita a vivere questi incontri e questo pellegrinaggio
del Papa nel cuore del Medio Oriente con una intensità spirituale e con una comprensione
della serietà di ciò che è in gioco
Per un ricordo di mons.
Padovese, Massimiliano Menichetti ha sentito il nunzio apostolico in Turchia,
mons. Antonio Lucibello:
R.
– Mons. Padovese era un uomo che lavorava per instaurare un dialogo tra Oriente e
Occidente sulla base della testimonianza, soprattutto di San Paolo e di San Giovanni
attraverso i Simposi annuali basati sullo studio dei Padri e delle tradizioni cristiane
che qui sovrabbondano. Certamente è una grande perdita. Speriamo che la sua morte
non sia la fine di tutti questi progetti che erano stati avviati ormai da anni…
D.
– Su cosa stava lavorando in questi giorni mons. Padovese?
R.
– Anzitutto, doveva recarsi all’incontro di Cipro presieduto dal Santo Padre, per
ricevere anche lui l’Instrumentum Laboris per poi essere membro del prossimo Sinodo
per il Medio Oriente. Negli ultimi due giorni è stato impegnato nel suo Vicariato
con la visita del Patriarca siro-cattolico di Antiochia, Ignace Youssif III Younan,
ed il seguito di vescovi: lo sapevo impegnato in questa vastissima attività … Per
questo, la notizia ci ha lasciati proprio costernati! Ricevere oggi nel primo pomeriggio
questa notizia, veramente ci ha lasciati senza parole!
D.
– Siete riusciti a sapere cosa sia successo esattamente?
R.
– Sappiamo purtroppo poco, a parte il fatto in sé, il fatto di cronaca. L’unico collaboratore
che c’era lì, nella sede del Vicariato, mi ha avvisato. Lui era in sede ad Iskenderun,
mons. Padovese invece era fuori con l’autista… Ho dato ora istruzioni al vicario generale,
padre Domenico Bertogli, che è il parroco della nostra comunità di Antiochia, di recarsi
subito sul posto; mi sono sentito con l’arcivescovo Ruggero Franceschini, l’arcivescovo
di Smirne, che è stato predecessore di mons. Padovese ad Iskenderun, il Vicariato
apostolico dell’Anatolia, il quale ha deciso di recarsi sul posto domani, insieme
ad un altro suo collaboratore.
Pubblichiamo una delle ultime
interviste rilasciate alla Radio Vaticana da mons. Padovese il 5 febbraio scorso
per ricordare l'anniversario dell'assassinio di don Andrea Santoro, il sacerdote fidei
donum ucciso quattro anni fa nella chiesa di Santa Maria a Trabzon, in Turchia. Ecco
la sua testimonianza al microfono di Davide Dionisi:
R.
- Mi piace rilevare che sia stato ucciso come simbolo, come realtà di sacerdote cattolico.
Non è stata uccisa soltanto la persona, ma si è voluto colpire il simbolo che la persona
rappresentava: ricordarlo in questo momento, all’interno dell’anno dedicato ai sacerdoti,
è quanto mai significativo, per ricordare a tutti noi che la sequela di Cristo può
arrivare anche all’offerta del proprio sangue.
D.
– A che punto è il dialogo in Turchia, mons. Padovese?
R.
– Il dialogo in Turchia, segue momenti alterni. Ci sono tante espressioni di buona
volontà da parte anche delle autorità. Si intende il dialogo con la parte civile.
Devo dire però che effetti vistosi di questo dialogo ancora non se ne vedono tanti.
Un buon rapporto si è creato con il nuovo ambasciatore di Turchia presso la Santa
Sede, anche con alcune autorità locali, ci sono attestazioni di volontà di collaborazione.
Ecco su questo punto devo dire che i segni ci sono. Per quello che riguarda poi certe
richieste concrete che sono state fatte, come ad esempio la Chiesa di Tarso, ci troviamo
in una situazione ancora di stallo.
D.
– Quale è l’impegno della Chiesa, quotidiano e a medio termine, per incentivare il
dialogo?
R. – Abbiamo avuto l’incontro
della Conferenza Episcopale turca, e pensiamo che il dialogo debba innanzitutto partire
da una presa di coscienza dei cristiani stessi in Turchia, cioè essere coscienti della
propria identità e di quello che sono. E’ inutile pensare ad un dialogo con chi non
è cristiano, quando non si è pienamente consapevoli di quello che si è. Quindi buona
parte della nostra azione pastorale quest’anno, è, e sarà concentrata nel rendere
i cristiani più consapevoli della propria identità. A parte questo ci saranno i momenti
di incontri a livello nazionale per i sacerdoti del Paese e i vescovi a Efeso. E’
la prima volta che comunità cristiane di diversi riti, ci ritroviamo a pregare e a
riflettere insieme sulle situazioni della Chiesa in Turchia.