Israele espelle gli attivisti pro-Gaza. Abu Mazen: terrorismo di Stato
Oltre cento attivisti che si trovavano a bordo della flottiglia fermata dalle forze
israeliane e rimasti in stato di fermo fino alla notte scorsa sono giunti in Giordania,
dopo essere stati espulsi da Israele. Alcuni sono stati liberati poco fa, tra cui
i sei italiani. A bordo delle navi c'erano 682 persone di 42 diverse nazionalità.
Almeno nove sono state uccise nell'assalto delle Forze speciali della marina israeliana,
più di 40 sono state ferite. Qualcuno aveva accettato di rimpatriare subito. Intanto,
il presidente palestinese, Abu Mazen, accusa Israele di terrorismo di Stato e parla
delle sue richieste ad Obama. Il servizio di Fausta Speranza:
“Decisioni
coraggiose per cambiare il volto del Medio Oriente”. Questo chiederà il presidente
palestinese a Obama che lo riceverà mercoledì prossimo a Washington. Un incontro già
previsto nell’ambito dell’impegno statunitense a far ripartire il processo di pace
israelo-palestinese. E confermato ieri dalla Casa Bianca. Ma il sanguinoso blitz israeliano
nelle acque nei pressi di Gaza non può certo non pesare. E bisogna dire che gli Stati
Uniti, alleati storici di Israele, sono sotto i riflettori mondiali: dopo 10 ore di
confronto, Washington ha dato il via libera nella notte tra lunedì e martedì alla
dichiarazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha stigmatizzato gli “atti”
a bordo della Mavi Marmara e intimato un'indagine “rapida, imparziale, autorevole
e trasparente”. Un pronunciamento significativo, ma non forte come una risoluzione,
come la Turchia chiedeva. Inoltre, Washington è riuscito a far scartare l'ipotesi
di una commissione internazionale indipendente, sul modello di quella che ha prodotto
il controverso rapporto sull’operazione israeliana "Piombo fuso". Dunque, un freno
da parte degli Stati Uniti cui ha fatto seguito l’affermazione critica di Obama, in
una telefonata al premier turco Erdogan: è importante “trovare modi migliori per aiutare
la popolazione di Gaza, senza mettere in pericolo la sicurezza di Israele”. Cautela
anche nelle parole del segretario di Stato americano, Hillary Clinton, che però ammette
che la situazione a Gaza è “inaccettabile" e che così com'è “non può durare”. In ogni
caso, dietro alla prudenza delle parole ufficiali c’è tutta la preoccupazione per
il processo di pace, che si percepisce al momento sull'orlo del baratro. Resta da
riferire della nota del Congresso ebraico mondiale: esprime il rammarico per le violenze
e le perdite di vite umane durante l'attacco, ma al tempo stesso evidenzia come Israele
non abbia cercato nè provocato un tale risultato.
Intanto resta
drammatica la situazione nella Striscia dove tutto è fermo nelle giornate di lutto
nazionale. Si teme per la sorte di altre due navi cariche di aiuti internazionali
e dirette al porto di Gaza. A questo proposito sentiamo la testimonianza di Lino
Zambrano, responsabile per la Palestina della Ong Cric (Centro regionale di intervento
per la cooperazione), raggiunto telefonicamente a Gerusalemme. L’intervista è di Gabriella
Ceraso.
R.
- La situazione a Gaza è drammatica ma questo già da alcuni anni. Adesso ci sono state
varie manifestazioni e dimostrazioni spontanee: si sono incontrati - anche dopo vari
anni - le differenti personalità che fanno riferimento a Fatah e Hamas nella Striscia
di Gaza.
D. - A livello di vita, a Gaza,
i giornali riportano di strade vuote, di negozi chiusi, difficoltà di vario genere…
R.
- Le strade sono vuote ed i negozi sono chiusi perché è stato indetto uno sciopero
generale contro questo massacro e, nello stesso tempo, sono stati dichiarati tre giorni
di lutto. In generale, la gente di Gaza sopravvive con gli aiuti umanitari, con le
rimesse dall’estero, con quel minimo di commercio che c’è tra i tunnel. Quindi al
momento questa è, secondo me, la priorità: fare in modo che la gente possa vivere
normalmente e che le sia data la possibilità di svilupparsi.
D.
- A questo proposito l’Egitto ha aperto il valico per la Striscia, dunque è un fattore
positivo…
R. - Quando ieri è arrivata
la notizia dell’apertura a tempo indeterminato del valico di Rafah i palestinesi erano
contentissimi. Su quanto continuerà e su cosa significherà bisognerà poi vedere.
D.
- Voi come Ong sapete che fine hanno fatto questi aiuti che erano sulla flottiglia,
avete notizie a riguardo e vi siete mobilitati in qualche modo?
R.
- Al momento sembra che le merci siano state trasferite dal porto di Ashdod fino al
valico israeliano con Gaza di Kerem Shalom - dove passano le merci -, però sono ferme
lì. Come Ong abbiamo richiesto un intervento più forte da parte della comunità internazionale.
Stanno arrivando altre due navi, che trasportano anche questi aiuti per la popolazione.
Chiediamo che i governi garantiscano in prima persona l’arrivo e che non si ripeta
quello che è successo l’altro giorno.
D.
- Lei ora è a Gerusalemme, da dove ci parla. Lì i riflessi di quanto sta accadendo
quali sono, se ne parla e come?
R. -
Se ne parla sicuramente. Ci sono state ieri alcune dimostrazioni nella città vecchia.
Quello che è interessante è che la parte pacifista della società israeliana si sta
muovendo.