A 100 anni dalla Conferenza di Edimburgo, leader di ogni confessione cristiana a confronto
nella città scozzese per parlare di evangelizzazione
Edimburgo è di nuovo capitale dell'ecumenismo. Da oggi al 6 giugno, leader di ogni
confessione cristiana si incontrano nella città scozzese per riflettere sulle risposte
dell'uomo di oggi al mandato di evangelizzare il mondo. A guidare la delegazione cattolica
alla Conferenza di Edimburgo è il vescovo Brian Farrell, segretario del Pontificio
Consiglio per l'Unità dei Cristiani. Al microfono di Philippa Hitchen, della
redazione inglese della Radio Vaticana, il presule spiega anzitutto l'avvenimento
storico che è alla base dell'attuale incontro:
R. - Si
tratta di celebrare i 100 anni dalla Conferenza di Edimburgo che - nel 1910 - ha segnato
l’inizio del Movimento moderno ecumenico. Movimento nato perché coloro che erano presenti
- nella grandissima maggioranza protestanti - si resero conto che predicare il Vangelo
al mondo rappresentava un compito impossibile proprio a causa di tutte le divisioni
che esistono fra i cristiani. Del Movimento ecumenico parla anche il Vaticano II quando
dice che “questo è un dono dello Spirito Santo” e la Chiesa cattolica entra formalmente
in questa ricerca dell’unità, che è per noi non soltanto un dovere, ma anche un elemento
essenziale della missione stessa della Chiesa: quella dell’unità, che è centrale in
tutta la nostra fede. Cent’anni dopo, noi saremo ad Edimburgo per partecipare, insieme
a molti altri, ad una riflessione seria e profonda sul compito di predicare il Vangelo
al mondo, partendo dalle circostanze che sono cambiate nel mondo e che esigono quindi
una specifica riflessione su come portare il Vangelo alle società di oggi. Una volta
era tutto chiaro: si andava nelle terre lontane per predicare Cristo; oggi le “terre
lontane” sono, invece, proprio a casa nostra. C’è quindi una seria riflessione da
fare. Saremo ad Edimburgo anche per sostenere il Movimento ecumenico che deve essere
al centro dell’opera della Chiesa, perché è vero che il mondo non crederà se i cristiani
rimarranno divisi. D. - Questa è una Conferenza di quattro
giorni, ma è il frutto di un lungo processo di mesi e mesi di lavoro in varie parti
del mondo… R. - La cosa importante da sottolineare è che non
si tratta di una Conferenza di quattro giorni per celebrare un qualcosa avvenuto 100
anni. E’ da più di due anni, infatti, che un grandissimo numero di Facoltà universitarie,
di gruppi, di associazioni interessati all’ecumenismo e alla vocazione missionaria
nel cristianesimo hanno seguito un corso che ha prodotto poi una serie di studi importanti,
relativi alla situazione attuale e alle nuove esigenze della missione. D.
- Ci sono tante divisioni e tante idee sul futuro del cristianesimo rappresentate
in questa Conferenza. Quanto sarà difficile riuscire a tirare qualche conclusione
che si possa poi mettere veramente in atto? R. - Si tratta di
trovare nella diversità delle Chiese e delle comunità ciò che si ha di comune. Alle
nostre spalle c’è un secolo: un secolo di riscoperta degli elementi comuni che abbiamo
tutti noi cristiani, fondati anzitutto sul comune Battesimo e sulla fede in Gesù Cristo.
Siamo ormai abituati a trovare modi per collaborare con le altre Chiese in vari progetti
ed ora parliamo di collaborazione proprio in campo di missione.