2010-05-31 17:32:03

L’intuito per capire e l’umiltà per servire gli altri: Enzo Caffarelli ricorda don Picchi


Un grazie ancora a don Mario Picchi: questo il sentimento che accomuna le tante persone che da ieri stanno rendendo omaggio al sacerdote nella camera ardente allestita nell’ospedale Fatebenefratelli di Roma, dove il fondatore del Centro italiano di solidarietà si è spento sabato scorso, all’età di 80 anni. Domani mattina alle 11.30 si svolgeranno i funerali nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Roberta Gisotti ha intervistato Enzo Caffarelli, direttore della rivista bimestrale del CeIs, “Il delfino”, tra i collaboratori di più vecchia data, da quasi 35 anni, di don Picchi.RealAudioMP3
 
D. – Quale eredità più grande ha lasciato don Mario Picchi ai suoi più stretti collaboratori?
 
R. – Sicuramente l’eredità della grande esperienza, del grande insegnamento. Tra le sue doti, credo che ce ne sia una importante che è l’intuito, l’intuito che don Mario aveva nel capire le persone, nel leggere nei loro occhi, nel loro cuore e di tirar fuori il meglio da ciascuno, nel senso che è riuscito egli stesso - e naturalmente tutti i suoi operatori – a ridare la voglia di vivere a persone che si trovavano veramente in situazioni disperate, senza speranza, fragili, disorientate per la droga ma anche per altri motivi. Direi che riusciva a tirar fuori il meglio anche dalle persone importanti. Lui era capace proprio di attrarre attenzione.

 
D. – Diceva don Picchi che il suo “progetto-uomo”, ovvero la sua strategia di porre la persona umana al centro della storia, non è né una terapia né un metodo…

 
R. – E’ una filosofia di vita il fatto di mettere al centro dell’attenzione l’uomo. Certamente negli ultimi tempi, il CeIs, ma anche alle origini, era proprio aperto a tutti i problemi. C’è stato un periodo storico in cui la droga è diventata una grandissima emergenza, con una diffusione enorme, come tutti sappiamo e in quel periodo il Ceis di Roma ha focalizzato l’attenzione sulla tossicodipendenza ma senza dimenticare tanti altri problemi che, con la droga, non hanno a che fare ma che hanno a che fare da una parte con la sofferenza, con l’emarginazione, con la disperazione e dall’altra con la solidarietà e l’accoglienza.

 
D. – C’è un aggettivo che può delineare l’animo di don Picchi?

 
R. – Direi che più di un aggettivo c’è un sostantivo, che è il “servizio”, cioè la sua idea di volontariato ma anche di attività retribuita per chi prende stipendi necessari per vivere ma piuttosto modesti. Lo stile del servizio è fondamentale per porsi nei confronti degli altri. Direi che è stata un po’ la cifra distintiva di 43 anni spesi a Roma da don Mario e ancor prima in Piemonte, ma soprattutto da quando venne a Roma nel 1967-1968, a servizio dei giovani, delle famiglie, delle persone in difficoltà.

 
D. – C’è un aneddoto che ti piace ricordare di don Picchi?

 
R. – Uno lo ricordo bene, all’inizio, nella prima sede del piccolo appartamento in piazza Benedetto Cairoli – vicino Largo Argentina – che ci era stato offerto da Papa Paolo VI. Era un appartamento dove ci si trovava, si accoglieva la gente, c’era il centro studi e così via; mi ricordo che lui era sempre l’ultimo ad andare via, insieme al suo vice, Juan Pares, che vorrei anche ricordare perché è venuto meno appena sette mesi fa e quindi il CeIs è doppiamente orfano. Una sera che mi trattenni più degli altri giorni e ricordo di aver visto don Mario e Juan che pulivano il bagno alla fine della giornata. Quindi ecco, anche questa grande umiltà. La sua porta era sempre aperta, poteva veramente entrare chiunque e parlare con lui nonostante il CeIs fosse un’organizzazione di 150-200 persone, più i volontari, più le centinaia di utenti, più la Federazione italiana delle Comunità terapeutiche - finché lui è stato presidente -, più tutte le attività svolte nel mondo. Insomma, don Mario era anche una persona umile, che sapeva pulire il bagno e che accoglieva in qualsiasi momento chiunque avesse bisogno di lui.







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