2010-05-28 15:57:38

Trent'anni fa l'assassinio del giornalista cattolico Walter Tobagi, un uomo col coraggio della verità


Un uomo con "il coraggio della verità" del quale non bisogna "perdere la memoria", al pari di tutti coloro "che sono stati esemplari nel loro impegno sociale e civile". Sono alcuni dei pensieri con i quali il cardinale Carlo Maria Martini ricorda oggi, in un articolo, la figura di Walter Tobagi, assassinato 30 anni fa a Milano per mano dei terroristi rossi. Tobagi fu un cattolico "animato dalla responsabilità di lavorare per una società meno lacerata dalla violenza", afferma il giornalista Giuseppe Baiocchi, che a Tobagi fu legato da una sincera amicizia, dalla comune partecipazione alle lezioni di Giorgio Rumi alla Statale di Milano e dagli anni trascorsi insieme nella redazione del Corriere della Sera. Paolo Ondarza lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. - Walter Tobagi era uno studioso, uno storico, un giornalista impegnato nel sindacato, nella società, ma soprattutto era anche un credente, perché era questo il fondamento, la roccia sulla quale poi costruì il suo impegno civile e professionale in anni terribili, difficili, in cui anche la fede sembrava espulsa dal discorso pubblico.

 
D. – Un uomo che comprese la responsabilità sociale associata ai comportamenti individuali...

 
R. – C’era sempre in lui questa straordinaria capacità di andare al fondo delle cose e di non essere mai soddisfatto dell’apparenza iniziale, ma con il bisogno di scavare. Scavare vuol dire poi raccontare la realtà tutta così com’è, anche quando magari non è come ce la si aspetta.

 
D. – Ed è una lezione appresa oggi?

 
R. – Non lo so. Certo è che il giornalismo purtroppo sembra tornato ad essere quello militante. Da una parte e dall’altra sembra che bisogna per forza mettersi l’elmetto e andare in guerra, mentre invece per gli spiriti liberi c’è un disagio profondissimo.

 
D. – Proprio quell’andare al fondo nelle cose, cui faceva riferimento, il desiderio di osservare e conoscere non conobbe ostacoli e fu scomodo e impopolare soprattutto per chi poi decise di ucciderlo. Tobagi sapeva di andare incontro alla morte?

 
R. – Da tempo sapeva di essere esposto, però coltivava fino in fondo due elementi cristiani: una speranza testarda di poter cambiare in meglio la società e un abbandono fiducioso al mistero della Provvidenza. Anche a me e agli amici più cari diceva: “Io non posso sottrarmi alle responsabilità alle quali il mio lavoro, il mio impegno civile, professionale e sindacale mi hanno portato”.

 
D. – Impopolare anche perché cattolico. Un cattolico che non esibì mai la fede, ma neppure la nascose, che sempre seppe di essere un cristiano chiamato a fare il giornalista. Su 300 giornalisti del Corriere eravate in sette credenti dichiarati ...

 
R. – Adesso mi auguro che ce ne sia qualcuno di più. Era un semplice fedele, che era disponibile anche alla vita della parrocchia, coltivava molto la lettura della Parola di Dio. La fede gli dava, io credo, la tranquillità interiore, la libertà di andare avanti, di fare delle scelte certamente scomode, però innovative. Era un uomo rivestito di un mite coraggio. Fu sempre colpito dall'invito di Gesù: Gesù non fa programmi, non lancia messaggi, risponde una cosa sola a chi gli chiede: “Che cosa fai? Che cosa hai in mente?”. Lui dice: “Venite e vedete”. E andare a vedere, magari anche con le astuzie la professionalità del cronista, fa parte proprio del mestiere.







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