Benedetto XVI all'udienza generale: l'autorità è servizio. Anche il Papa non può fare
quello che vuole, ma è custode dell'obbedienza a Cristo
Il Papa all’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro ha parlato del
compito del sacerdote di governare con l’autorità di Cristo, non con la propria, la
porzione del Popolo che Dio gli ha affidato. “Come comprendere nella cultura contemporanea
una tale dimensione – ha detto - che implica il concetto di autorità e ha origine
dal mandato stesso del Signore di pascere il suo gregge? Che cos’è realmente, per
noi cristiani, l’autorità? Le esperienze culturali, politiche e storiche del recente
passato, soprattutto le dittature in Europa dell’Est e dell’Ovest nel XX secolo, hanno
reso l’uomo contemporaneo sospettoso nei confronti del concetto di autorità. Un sospetto
che, non di rado, si traduce nel sostenere come necessario l’abbandono di ogni autorità,
che non venga esclusivamente dagli uomini e sia ad essi sottoposta. Ma proprio lo
sguardo sui regimi che, nel secolo scorso, seminarono terrore e morte, ricorda con
forza che l’autorità, in ogni ambito, quando viene esercitata senza un riferimento
al Trascendente, se prescinde dall’Autorità suprema, che è Dio, finisce inevitabilmente
per volgersi contro l’uomo. E’ importante allora – ha proseguito - riconoscere che
l’autorità umana non è mai un fine, ma sempre e solo un mezzo e che, necessariamente
ed in ogni epoca, il fine è sempre la persona, creata da Dio con la propria intangibile
dignità e chiamata a relazionarsi con il proprio Creatore, nel cammino terreno dell’esistenza
e nella vita eterna”. “Un’autorità così intesa – ha aggiunto - che abbia come unico
scopo servire il vero bene delle persone ed essere trasparenza dell’unico Sommo Bene
che è Dio … non solo non è estranea agli uomini, ma, al contrario, è un prezioso aiuto
nel cammino verso la piena realizzazione in Cristo, verso la salvezza”. Quindi ha
proseguito: “La Chiesa è chiamata e si impegna ad esercitare questo tipo di autorità
che è servizio, e la esercita non a titolo proprio, ma nel nome di Gesù Cristo, che
dal Padre ha ricevuto ogni potere in Cielo e sulla terra (cfr Mt 28,18). Attraverso
i Pastori della Chiesa, infatti, Cristo pasce il suo gregge: è Lui che lo guida, lo
protegge, lo corregge, perché lo ama profondamente. Ma il Signore Gesù, Pastore supremo
delle nostre anime, ha voluto che il Collegio Apostolico, oggi i Vescovi, in comunione
con il Successore di Pietro, e i sacerdoti, loro più preziosi collaboratori, partecipassero
a questa sua missione di prendersi cura del Popolo di Dio, di essere educatori nella
fede, orientando, animando e sostenendo la comunità cristiana, ‘curando, soprattutto
che i singoli fedeli siano guidati nello Spirito Santo a vivere secondo il Vangelo
la loro propria vocazione, a praticare una carità sincera ed operosa e ad esercitare
quella libertà con cui Cristo ci ha liberati’ (Presbyterorum Ordinis, 6). Ogni Pastore
quando è il tramite attraverso il quale Cristo stesso ama gli uomini: è mediante il
nostro ministero – cari sacerdoti – è attraverso di noi che il Signore raggiunge le
anime, le istruisce, le custodisce, le guida. Sant’Agostino afferma: ‘Sia dunque impegno
d’amore pascere il gregge del Signore’ (Commento al Vangelo di Giovanni 123,5): questa
è la suprema norma di condotta dei ministri di Dio, un amore incondizionato, come
quello del Buon Pastore, pieno di gioia, aperto a tutti, attento ai vicini e premuroso
verso i lontani (cfr S. Agostino, Discorso 340, 1; Discorso 46, 15), delicato verso
i più deboli, i piccoli, i semplici, i peccatori, per manifestare l’infinita misericordia
di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr Id., Lettera 95, 1)”. Il Papa
ha così proseguito: “Se tale compito pastorale è fondato sul sacramento, tuttavia
la sua efficacia non è indipendente dall’esistenza personale del presbitero. Per essere
Pastore secondo il cuore di Dio (cfr Ger 3,15) occorre un profondo radicamento nella
viva amicizia con Cristo, non solo dell’intelligenza, ma anche della libertà e della
volontà, una chiara coscienza dell’identità ricevuta nell’Ordinazione Sacerdotale,
una disponibilità incondizionata a condurre il gregge affidato là dove il Signore
vuole e non nella direzione che, apparentemente, sembra più conveniente o più facile.
Ciò richiede, anzitutto, la continua e progressiva disponibilità a lasciare che Cristo
stesso governi l’esistenza sacerdotale dei presbiteri. Infatti, nessuno è realmente
capace di pascere il gregge di Cristo, se non vive una profonda e reale obbedienza
a Cristo e alla Chiesa, e la stessa docilità del Popolo ai suoi sacerdoti dipende
dalla docilità dei sacerdoti verso Cristo; per questo alla base del ministero pastorale
c’è sempre l’incontro personale e costante con il Signore, la conoscenza profonda
di Lui, il conformare la propria volontà alla volontà di Cristo”. “Negli ultimi decenni,
- ha affermato - si è utilizzato spesso l’aggettivo ‘pastorale’ quasi in opposizione
al concetto di ‘gerarchico’, così come, nella medesima contrapposizione, è stata interpretata
l’idea di ‘comunione’”. Qui il Papa ha sottolineato che il concetto di autorità nell’opinione
pubblica appare nella sua dimensione di dominio e quindi contrario all’umiltà del
Vangelo. Questo – rileva – è dovuto agli abusi dell’autorità e al carrierismo. Il
sacerdote, infatti, solo in quanto “servo di Cristo” può governare. “E anche il Papa
– ha aggiunto – non può fare quanto vuole, al contrario il Papa è custode dell’obbedienza
a Cristo, alla sua Parola” e “deve precedere nell’obbedienza a Cristo e alla sua Chiesa”.
“Al di fuori di una visione chiaramente ed esplicitamente soprannaturale – ha proseguito
- non è comprensibile il compito di governare proprio dei sacerdoti. Esso, invece,
sostenuto dal vero amore per la salvezza di ciascun fedele, è particolarmente prezioso
e necessario anche nel nostro tempo. Se il fine è portare l’annuncio di Cristo e condurre
gli uomini all’incontro salvifico con Lui perché abbiano la vita, il compito di guidare
si configura come un servizio vissuto in una donazione totale per l’edificazione del
gregge nella verità e nella santità, spesso andando controcorrente e ricordando che
chi è il più grande si deve fare come il più piccolo, e colui che governa, come colui
che serve (cfr Lumen gentium, 27). Dove può attingere oggi un sacerdote la forza per
l’esercizio del proprio ministero, nella piena fedeltà a Cristo e alla Chiesa, con
una dedizione totale al proprio gregge? La risposta è una sola: in Cristo Signore.
Il modo di governare di Gesù non è quello del dominio, ma è l’umile ed amoroso servizio
della Lavanda dei piedi, e la regalità di Cristo sull’universo non è un trionfo terreno,
ma trova il suo culmine sul legno della Croce, che diventa giudizio per il mondo e
punto di riferimento per l’esercizio dell’autorità che sia vera espressione della
carità pastorale. I santi, e tra essi san Giovanni Maria Vianney, hanno esercitato
con amore e dedizione il compito di curare la porzione del Popolo di Dio loro affidata,
mostrando anche di essere uomini forti e determinati, con l’unico obiettivo di promuovere
il vero bene delle anime, capaci di pagare di persona, fino al martirio, per rimanere
fedeli alla verità e alla giustizia del Vangelo”. Si è quindi rivolto ai presbiteri:
“Cari sacerdoti, «pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per
forza ma volentieri [...], facendovi modelli del gregge» (1Pt 5,2); dunque non abbiate
paura di guidare a Cristo ciascuno dei fratelli che Egli vi ha affidati, sicuri che
ogni parola ed ogni atteggiamento, se discendono dall’obbedienza alla volontà di Dio,
porteranno frutto; sappiate vivere apprezzando i pregi e riconoscendo i limiti della
cultura in cui siamo inseriti, con la ferma certezza che l’annuncio del Vangelo è
il maggiore servizio che si può fare all’uomo. Non c’è, infatti, bene più grande,
in questa vita terrena, che condurre gli uomini a Dio, risvegliare la fede, sollevare
l’uomo dall’inerzia e dalla disperazione, dare la speranza che Dio è vicino e guida
la storia personale e del mondo: questo, in definitiva, è il senso profondo ed ultimo
del compito di governare che il Signore ci ha affidato. Si tratta di formare Cristo
nei credenti, attraverso quel processo di santificazione che è conversione dei criteri,
della scala di valori, degli atteggiamenti, per lasciare che Cristo viva in ogni fedele.
San Paolo così riassume la sua azione pastorale: “figlioli miei, che io di nuovo partorisco
nel dolore finché Cristo non sia formato in voi” (Gal 4,19)”. Il Papa ha poi concluso:
“Cari fratelli e sorelle, vorrei invitarvi a pregare per me, Successore di Pietro,
che ho uno specifico compito nel governare la Chiesa di Cristo, come pure per tutti
i vostri Vescovi e sacerdoti. Pregate perché sappiamo prenderci cura di tutte le pecore,
anche quelle smarrite, del gregge a noi affidato. A voi, cari sacerdoti, rivolgo il
cordiale invito alle Celebrazioni conclusive dell’Anno Sacerdotale, il prossimo 9,
10 e 11 giugno, qui a Roma: mediteremo sulla conversione e sulla missione, sul dono
dello Spirito Santo e sul rapporto con Maria Santissima, e rinnoveremo le nostre promesse
sacerdotali, sostenuti da tutto il Popolo di Dio”.