Seminario all'Università Urbaniana su connessioni e distanze tra i popoli nell'era
digitale. Intervista con Luca Pandolfi
Nell’era digitale la connessione e l’isolamento fra popoli, culture e generazioni.
Questa la tematica al centro del Seminario di studio organizzato ieri, a Roma, dalla
Pontificia Università Urbaniana: un’occasione anche per presentare il master in Comunicazione
sociale nel contesto interculturale e missionario. Tanti gli interventi, tra cui quello
di Luca Pandolfi, direttore del master. Debora Donnini lo ha intervistato
sulle problematiche connesse al mondo della comunicazione digitale:
R. – Sicuramente,
c’è un problema di mondi connessi e mondi disconnessi, sia per la differenza generazionale
che anche per il “digital divide”. C’è un problema di accesso alla tecnologia e quindi
alla possibilità di essere in comunicazione, e c’è anche il rapporto tra famiglie,
luoghi di partenza e migranti trasferitisi in altre parti del pianeta. Un altro problema
invece è, all’interno di un medesimo contesto, connesso al livello digitale e usato
in modo differente. Alcuni sono definiti come “nativi digitali”, cioè coloro che hanno
appreso l’uso di internet prima della scrittura manuale. E chi invece, in qualche
maniera, in questa tecnologia, è entrato da grande. Ci sono diverse opportunità e
diverse problematiche si intrecciano in qualche maniera. Noi cerchiamo di approfondirle
e anche di vedere quale può essere l’azione della Chiesa – l’attività missionaria,
l’evangelizzazione – e come si inserisca al servizio di queste esperienze.
D.
– Secondo lei, il mondo digitale può aiutare questo dialogo fra popoli e generazioni?
R.
– Sicuramente sì, nel senso che il mondo digitale è una delle modalità comunicative
contemporanee. Internet diventa il luogo dove passa per esempio il linguaggio radio.
Web e radio sono sempre più diffuse. Internet è il luogo dove si hanno informazioni
circa eventi culturali anche di tipo teatrale o espressivo. Quindi, in realtà, Internet
è un grande strumento che può aiutare il dialogo tra le culture. E come tutti gli
strumenti, è anche una forma di comunicazione: con i suoi aspetti positivi, con i
suoi aspetti di cambiamento della modalità comunicativa e con degli aspetti di problematicità,
comuni a ogni strumento.
D. – Anche a livello di
diffusione della fede, queste nuove tecnologie digitali possono aiutare?
R.
– Sicuramente sì. Io credo che la Chiesa abbia già scoperto, e già usi da tempo in
alcuni suoi settori, questi mezzi di comunicazione e questi strumenti. C’è bisogno
certamente di acquisire sempre maggiore competenza. Il rischio è di pensarli semplicemente
come degli strumenti. In realtà, essi strutturano il messaggio anche a partire dal
loro modo di essere. Quindi, ci vuole discernimento e forse un passo in avanti deve
essere fatto in termini di consapevolezza e di competenze da acquisire. Bisogna mettersi
in uno stato di apprendimento: capire cosa significa realizzare l’annuncio del Vangelo
anche, non solo, con questi strumenti. Questo, però, non credo possa sostituire il
rapporto personale, del quale questo strumento può essere un passaggio, un ponte.
D.
– McLuhan diceva “Il mezzo è il messaggio”…
R. –
Esattamente. La connessione può essere facilitata, il social network, il lavoro comunitario
e di cooperazione e condivisione può essere facilitato. Poi, però, la testimonianza,
l’incontro personale, la compagnia concreta devono essere vissuti nel rapporto tra
le persone. Questo nell’esperienza cristiana non credo possa essere sostituito da
un mezzo di comunicazione.