2010-05-25 15:01:00

Seminario all'Università Urbaniana su connessioni e distanze tra i popoli nell'era digitale. Intervista con Luca Pandolfi


Nell’era digitale la connessione e l’isolamento fra popoli, culture e generazioni. Questa la tematica al centro del Seminario di studio organizzato ieri, a Roma, dalla Pontificia Università Urbaniana: un’occasione anche per presentare il master in Comunicazione sociale nel contesto interculturale e missionario. Tanti gli interventi, tra cui quello di Luca Pandolfi, direttore del master. Debora Donnini lo ha intervistato sulle problematiche connesse al mondo della comunicazione digitale:RealAudioMP3

R. – Sicuramente, c’è un problema di mondi connessi e mondi disconnessi, sia per la differenza generazionale che anche per il “digital divide”. C’è un problema di accesso alla tecnologia e quindi alla possibilità di essere in comunicazione, e c’è anche il rapporto tra famiglie, luoghi di partenza e migranti trasferitisi in altre parti del pianeta. Un altro problema invece è, all’interno di un medesimo contesto, connesso al livello digitale e usato in modo differente. Alcuni sono definiti come “nativi digitali”, cioè coloro che hanno appreso l’uso di internet prima della scrittura manuale. E chi invece, in qualche maniera, in questa tecnologia, è entrato da grande. Ci sono diverse opportunità e diverse problematiche si intrecciano in qualche maniera. Noi cerchiamo di approfondirle e anche di vedere quale può essere l’azione della Chiesa – l’attività missionaria, l’evangelizzazione – e come si inserisca al servizio di queste esperienze.

 
D. – Secondo lei, il mondo digitale può aiutare questo dialogo fra popoli e generazioni?

 
R. – Sicuramente sì, nel senso che il mondo digitale è una delle modalità comunicative contemporanee. Internet diventa il luogo dove passa per esempio il linguaggio radio. Web e radio sono sempre più diffuse. Internet è il luogo dove si hanno informazioni circa eventi culturali anche di tipo teatrale o espressivo. Quindi, in realtà, Internet è un grande strumento che può aiutare il dialogo tra le culture. E come tutti gli strumenti, è anche una forma di comunicazione: con i suoi aspetti positivi, con i suoi aspetti di cambiamento della modalità comunicativa e con degli aspetti di problematicità, comuni a ogni strumento.

 
D. – Anche a livello di diffusione della fede, queste nuove tecnologie digitali possono aiutare?

 
R. – Sicuramente sì. Io credo che la Chiesa abbia già scoperto, e già usi da tempo in alcuni suoi settori, questi mezzi di comunicazione e questi strumenti. C’è bisogno certamente di acquisire sempre maggiore competenza. Il rischio è di pensarli semplicemente come degli strumenti. In realtà, essi strutturano il messaggio anche a partire dal loro modo di essere. Quindi, ci vuole discernimento e forse un passo in avanti deve essere fatto in termini di consapevolezza e di competenze da acquisire. Bisogna mettersi in uno stato di apprendimento: capire cosa significa realizzare l’annuncio del Vangelo anche, non solo, con questi strumenti. Questo, però, non credo possa sostituire il rapporto personale, del quale questo strumento può essere un passaggio, un ponte.

 
D. – McLuhan diceva “Il mezzo è il messaggio”…

 
R. – Esattamente. La connessione può essere facilitata, il social network, il lavoro comunitario e di cooperazione e condivisione può essere facilitato. Poi, però, la testimonianza, l’incontro personale, la compagnia concreta devono essere vissuti nel rapporto tra le persone. Questo nell’esperienza cristiana non credo possa essere sostituito da un mezzo di comunicazione.







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