Pentecoste: la riflessione dell'arcivescovo di Crotone-Santa Severina
La Domenica di Pentecoste è spesso vissuta come un giorno qualsiasi: la comunità credente
dovrebbe invece testimoniare la propria fede nella Terza Persona della Trinità vivendo
questa giornata come una vera e propria festa: è quanto sottolinea al microfono di
Federico Piana, l’arcivescovo di Crotone-Santa Severina, Domenico
Graziani:
R. – Come
si fa a non fare festa pensando allo Spirito? Basti pensare a quelli che sono i frutti
dello Spirito: la libertà, la gioia, il dominio di sé, la pace, la serenità che noi
poi possiamo anche coniugare nel termine di quel sostanziale benessere che ognuno,
anche realisticamente, può attendersi dalla vita, intraprendendo un cammino i cui
inizi sono come quelli del granello di senape ma che va continuamente crescendo.
D.
– Questa festa è la discesa dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è una Persona vera
e propria, ricordiamolo, non una forza o una energia…
R.
– Noi parliamo, proprio all’interno della liberazione cristiana, dello Spirito di
Dio che è Persona. Nel mistero dell’unità e Trinità di Dio è come se, in qualche modo,
rendesse sempre più vicino – anche all’interno della teologia trinitaria – la dimensione
del legame, il nesso, la dimensione del dono che all’interno della vita delle tre
Persone divine è quello che ravviva proprio il sentimento della realtà del dono, della
realtà del legame e della realtà della relazione.
D.
– Come invocare lo Spirito Santo?
R. – Io penso che
il modo migliore per invocare lo Spirito è il farsi piccolo, l’umiltà. Nel momento
in cui si vive l’umiltà, allora si diventa capaci di quel distacco che ci dischiude
orizzonti molto luminosi. Orizzonti che fondamentalmente si possono identificare con
l’affermazione paolina: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”.
D.
– Cosa vuol dire il Nuovo Testamento quando dice che lo Spirito Santo è “Paraclito,
consolatore, soccorritore”?
R. – E’ Paraclito e soccorritore,
ma soccorritore nel modo divino, nel senso che è lui il gene, dentro di noi, dell’incorruttibilità.
Lui è il gene dentro di noi perché è il divino che comunque è in noi per partecipazione,
per grazia, perché questo divino comunque giunga a compimento. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)