2010-05-23 14:51:05

In Piazza San Pietro col Papa per promuovere una cultura del diritto a non abortire


Si è dunque conclusa oggi con la partecipazione al Regina Caeli presieduto dal Papa in Piazza San Pietro, la tre-giorni di studio promossa a Roma dal Movimento per la Vita, in collaborazione con il Forum delle Associazioni Familiari e l’Associazione Scienza e Vita, per i “Trentadue anni della legge 194” sulla interruzione volontaria della gravidanza. Un appuntamento servito a rilanciare l’appello a non rassegnarsi alla cultura dell’aborto. Fabio Colagrande ha intervistato a questo proposito il prof. Lucio Romano, copresidente di Scienza e Vita:RealAudioMP3

R. – Credo che noi oggi dovremmo assolutamente virare da una cultura del diritto ad abortire ad una cultura del diritto a non abortire. Infatti, proprio in ragione di questo diritto a non abortire, riportato dalla 194 in parte, seppur molto fugacemente, e molto disatteso, credo che noi dovremmo operare. Dopo 32 anni dalla promulgazione della legge 194, noi possiamo trarre una conclusione che è questa: la legge, per quanto operi da tanti anni, è completamente disattesa. Disattesa soprattutto per quanto riguarda la prima parte, quella cioè della cosiddetta prevenzione, che ci è molto caro richiamare nella cosiddetta prevenzione post concezionale. Quali sono gli interventi che vengono realmente concretizzati a tutela e a difesa della vita in una donna, che molte volte afferisce ad un servizio - quale può essere il consultorio o una struttura ospedaliera universitaria - in una situazione di grande disagio, molte volte di natura economica, che diventa il principale motivo che dà luogo all’interruzione di gravidanza? Ne viene di conseguenza che questi sono tutti aspetti di una rilevantissima importanza, in quanto dovremmo intervenire in un ambito non solo di ordine culturale, ma quella dimensione culturale dovrebbe essere suffragata e supportata da una dimensione di ordine politico, normativo e legislativo che porti non solo ad una riforma dei consultori, ma ad una cultura diversa di approccio.

 
D. – Tre giornate per non rassegnarsi, ma non rassegnarsi a che cosa?

 
R. – Non rassegnarsi ad accettare in maniera supina che le cose vadano così come sono andate a tutt’oggi, senza integralismi, senza polemiche, ma nella fermezza di un’argomentazione e di una riflessione antropologica a tutela dei diritti fondamentali dell’essere umano fin dal primo momento della sua vita. E’ lì il segno di civiltà, è lì il segno di una politica che diventa nobiltà. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

 
E tante erano oggi le mamme e i papà presenti a piazza San Pietro, per il Regina Coeli con Benedetto XVI. Ascoltiamo alcune testimonianze raccolte da Marina Tomarro:RealAudioMP3

R. – Siamo qui perché noi siamo per la vita. Noi abbiamo due bambini. Per noi, la vita è la cosa più bella che possa esserci.

 
R. – Noi crediamo che il futuro sia dei bambini e se non si seguono politiche e se non si prendono decisioni che consentono alle famiglie di potersi organizzare e dare un seguito alla loro vita, questo non avverrà mai! Siamo in un momento difficile. Siamo qui non per protestare, ma per dare il nostro contributo.

 
D. – Il Papa vi invita a continuare a sostenere il vostro ‘sì’ alla vita. In che modo lei risponde a questo invito?

 
R. – Prima di tutto, rispondiamo con gioia, perché è commovente sentire questo richiamo. Rispondiamo continuando a fare cultura per la vita, in maniera positiva; continuando a dire che la vita è bella: per la mamma che può accogliere, per il figlio che vuole nascere e per il padre che desidera quel figlio!

 
R. – E’ veramente una gioia poter ascoltare il Papa che ci sostiene in questo cammino che non è assolutamente facile, nella società di oggi, dove i più piccoli – nati o non nati – vengono calpestati. E siamo molto grati al Santo Padre che ci sostiene in questo cammino.

 
Intanto nei giorni scorsi il presidente della Lombardia, Formigoni, ha presentato il progetto “Nasko”, che prevede un fondo speciale illimitato per evitare nella regione gli aborti dettati da motivi economici. Secondo stime ragionevoli, in Lombardia, su un totale di oltre 20.800 interruzioni volontarie di gravidanza in un anno, sarebbero 7mila quelle dovute alla povertà. Ma come salutano l’iniziativa della Regione i Centri di aiuto alla vita (Cav)? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Paola Bonzi, fondatrice e direttore del Cav della clinica Mangiagalli di Milano.RealAudioMP3

R. – Lo salutiamo con un “evviva” perché le dico solamente che nel mese di aprile ho incontrato 84 donne a rischio di aborto per motivi economici, alle quali io non ho potuto dare nulla perché noi abbiamo finito tutti i fondi. Vedere che un bambino non può nascere per 4-5.000 euro, le garantisco che è una sofferenza immensa!

 
D. – Finora, i fondi che vi finanziavano da dove venivano?

 
R. – Sono sempre stati fondi che venivano da privati, da qualche fondazione oppure da progetti fatti a seconda dei bandi degli enti pubblici.

 
D. – Come vengono impiegati i fondi che ricevete?

 
R. – Noi aiutiamo le donne che rinunciano ad abortire per 18 mesi, il che vuol dire i sei mesi della gravidanza che restano e fino al primo anno di vita del bambino. Con colloqui di sostegno psicologico e con un assegno mensile attorno ai 250 euro.

 
D. – Il progetto della Regione Lombardia è unico nel suo genere nell’intero panorama italiano?

 
R. – Sì. Sicuramente sì. Ma non solo a livello dell’istituzione Regione: anche a livello comunale o provinciale! Cioè, la Regione Lombardia e il suo presidente, in modo particolare, si sono veramente fatti carico di una situazione che risulta abbastanza impressionante, perché sei donne su dieci – almeno alla “Mangiagalli” – abortiscono per puri motivi economici.

 
D. – L’aborto porta sempre con sé conseguenze psicologiche devastanti, e ancora di più se questa scelta di morte è dettata da difficoltà economiche …

 
R. – Noi abbiamo nel nostro Centro di aiuto alla vita una psicologa che si occupa proprio dell’elaborazione del lutto e le garantisco che certe frasi fanno male al cuore. Queste donne non lo rifarebbero mai!

 
D. – Parlando di ricorso all’aborto per motivi economici, per difficoltà economiche, qual è la proporzione tra italiane e straniere?

 
R. – Incidono di più sugli stranieri, però ci sono anche molte italiane, perché in questo momento i contratti a termine non vengono rinnovati, e se si presentano ad un colloquio di lavoro e dicono che sono al secondo mese di gravidanza, non le assumono nemmeno. Addirittura, nel colloquio preliminare fanno firmare dichiarazioni in cui queste persone da assumere si ripromettono di non rimanere incinte! Quindi, direi che anche la situazione delle donne italiane è piuttosto pesante!







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