In Piazza San Pietro col Papa per promuovere una cultura del diritto a non abortire
Si è dunque conclusa oggi con la partecipazione al Regina Caeli presieduto dal Papa
in Piazza San Pietro, la tre-giorni di studio promossa a Roma dal Movimento per la
Vita, in collaborazione con il Forum delle Associazioni Familiari e l’Associazione
Scienza e Vita, per i “Trentadue anni della legge 194” sulla interruzione volontaria
della gravidanza. Un appuntamento servito a rilanciare l’appello a non rassegnarsi
alla cultura dell’aborto. Fabio Colagrande ha intervistato a questo proposito
il prof. Lucio Romano, copresidente di Scienza e Vita:
R. – Credo
che noi oggi dovremmo assolutamente virare da una cultura del diritto ad abortire
ad una cultura del diritto a non abortire. Infatti, proprio in ragione di questo diritto
a non abortire, riportato dalla 194 in parte, seppur molto fugacemente, e molto disatteso,
credo che noi dovremmo operare. Dopo 32 anni dalla promulgazione della legge 194,
noi possiamo trarre una conclusione che è questa: la legge, per quanto operi da tanti
anni, è completamente disattesa. Disattesa soprattutto per quanto riguarda la prima
parte, quella cioè della cosiddetta prevenzione, che ci è molto caro richiamare nella
cosiddetta prevenzione post concezionale. Quali sono gli interventi che vengono realmente
concretizzati a tutela e a difesa della vita in una donna, che molte volte afferisce
ad un servizio - quale può essere il consultorio o una struttura ospedaliera universitaria
- in una situazione di grande disagio, molte volte di natura economica, che diventa
il principale motivo che dà luogo all’interruzione di gravidanza? Ne viene di conseguenza
che questi sono tutti aspetti di una rilevantissima importanza, in quanto dovremmo
intervenire in un ambito non solo di ordine culturale, ma quella dimensione culturale
dovrebbe essere suffragata e supportata da una dimensione di ordine politico, normativo
e legislativo che porti non solo ad una riforma dei consultori, ma ad una cultura
diversa di approccio.
D. – Tre giornate per non rassegnarsi,
ma non rassegnarsi a che cosa?
R. – Non rassegnarsi
ad accettare in maniera supina che le cose vadano così come sono andate a tutt’oggi,
senza integralismi, senza polemiche, ma nella fermezza di un’argomentazione e di una
riflessione antropologica a tutela dei diritti fondamentali dell’essere umano fin
dal primo momento della sua vita. E’ lì il segno di civiltà, è lì il segno di una
politica che diventa nobiltà. (Montaggio a cura di Maria Brigini) E
tante erano oggi le mamme e i papà presenti a piazza San Pietro, per il Regina Coeli
con Benedetto XVI. Ascoltiamo alcune testimonianze raccolte da Marina Tomarro:
R. – Siamo
qui perché noi siamo per la vita. Noi abbiamo due bambini. Per noi, la vita è la cosa
più bella che possa esserci.
R. – Noi crediamo che
il futuro sia dei bambini e se non si seguono politiche e se non si prendono decisioni
che consentono alle famiglie di potersi organizzare e dare un seguito alla loro vita,
questo non avverrà mai! Siamo in un momento difficile. Siamo qui non per protestare,
ma per dare il nostro contributo.
D. – Il Papa vi
invita a continuare a sostenere il vostro ‘sì’ alla vita. In che modo lei risponde
a questo invito?
R. – Prima di tutto, rispondiamo
con gioia, perché è commovente sentire questo richiamo. Rispondiamo continuando a
fare cultura per la vita, in maniera positiva; continuando a dire che la vita è bella:
per la mamma che può accogliere, per il figlio che vuole nascere e per il padre che
desidera quel figlio!
R. – E’ veramente una gioia
poter ascoltare il Papa che ci sostiene in questo cammino che non è assolutamente
facile, nella società di oggi, dove i più piccoli – nati o non nati – vengono calpestati.
E siamo molto grati al Santo Padre che ci sostiene in questo cammino.
Intanto
nei giorni scorsi il presidente della Lombardia, Formigoni, ha presentato il progetto
“Nasko”, che prevede un fondo speciale illimitato per evitare nella regione gli aborti
dettati da motivi economici. Secondo stime ragionevoli, in Lombardia, su un totale
di oltre 20.800 interruzioni volontarie di gravidanza in un anno, sarebbero 7mila
quelle dovute alla povertà. Ma come salutano l’iniziativa della Regione i Centri di
aiuto alla vita (Cav)? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Paola Bonzi, fondatrice
e direttore del Cav della clinica Mangiagalli di Milano.
R. – Lo salutiamo
con un “evviva” perché le dico solamente che nel mese di aprile ho incontrato 84 donne
a rischio di aborto per motivi economici, alle quali io non ho potuto dare nulla perché
noi abbiamo finito tutti i fondi. Vedere che un bambino non può nascere per 4-5.000
euro, le garantisco che è una sofferenza immensa!
D.
– Finora, i fondi che vi finanziavano da dove venivano?
R.
– Sono sempre stati fondi che venivano da privati, da qualche fondazione oppure da
progetti fatti a seconda dei bandi degli enti pubblici.
D.
– Come vengono impiegati i fondi che ricevete?
R.
– Noi aiutiamo le donne che rinunciano ad abortire per 18 mesi, il che vuol dire i
sei mesi della gravidanza che restano e fino al primo anno di vita del bambino. Con
colloqui di sostegno psicologico e con un assegno mensile attorno ai 250 euro.
D.
– Il progetto della Regione Lombardia è unico nel suo genere nell’intero panorama
italiano?
R. – Sì. Sicuramente sì. Ma non solo a
livello dell’istituzione Regione: anche a livello comunale o provinciale! Cioè, la
Regione Lombardia e il suo presidente, in modo particolare, si sono veramente fatti
carico di una situazione che risulta abbastanza impressionante, perché sei donne su
dieci – almeno alla “Mangiagalli” – abortiscono per puri motivi economici.
D.
– L’aborto porta sempre con sé conseguenze psicologiche devastanti, e ancora di più
se questa scelta di morte è dettata da difficoltà economiche …
R.
– Noi abbiamo nel nostro Centro di aiuto alla vita una psicologa che si occupa proprio
dell’elaborazione del lutto e le garantisco che certe frasi fanno male al cuore. Queste
donne non lo rifarebbero mai!
D. – Parlando di ricorso
all’aborto per motivi economici, per difficoltà economiche, qual è la proporzione
tra italiane e straniere?
R. – Incidono di più sugli
stranieri, però ci sono anche molte italiane, perché in questo momento i contratti
a termine non vengono rinnovati, e se si presentano ad un colloquio di lavoro e dicono
che sono al secondo mese di gravidanza, non le assumono nemmeno. Addirittura, nel
colloquio preliminare fanno firmare dichiarazioni in cui queste persone da assumere
si ripromettono di non rimanere incinte! Quindi, direi che anche la situazione delle
donne italiane è piuttosto pesante!