Il Movimento per la Vita: non rassegnarsi alla logica dell'aborto
Una “tre giorni di non rassegnazione” in difesa della vita nascente: è l’iniziativa
promossa a Roma dal Movimento per la Vita in occasione dei 32 anni della Legge 194
sull’interruzione volontaria di gravidanza. Domenica 23, al termine dei lavori, i
partecipanti all’evento si riuniranno in Piazza San Pietro per la benedizione del
Papa e per non dimenticare i 120 mila bambini nati grazie ai Centri di aiuto alla
vita. La tre giorni ricorda anche i 5 milioni di bambini mai nati in Italia da quando
la legge è stata approvata. Un dato drammatico su cui si sofferma Olimpia Tarzia,
tra i fondatori del Movimento per la Vita italiano e attualmente vicepresidente della
Confederazione Italiana Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana. L’intervista
è di Fabio Colagrande: R. – A volte
i numeri grandi non riusciamo a concretizzarli e a vederli. Stiamo parlando di 150
mila aborti l’anno in Italia; significano, in una regione come il Lazio, 16 mila l’anno,
di cui 15 mila a Roma. Io credo che questa realtà non può non far interrogare, perché
non stiamo parlando di cifre, ma stiamo parlano di bambini e di bambine; stiamo parlando
di mamme, di papà, di famiglie; stiamo parlando di una società che inevitabilmente
è sempre più povera quando ad un bambino viene impedito di nascere. Ecco il senso
di questa tre giorni: da un lato, il non dimenticare questi 5 milioni di bambini mai
nati; dall’altro, il non dimenticare che cosa si può fare per fermare il dramma dell’aborto
e sono i 120 mila bambini aiutati a nascere grazie all’azione dei Centri di aiuto
alla vita in tutta Italia. Quando si aiuta un bambino a nascere, quando si salva un
bambino dall’aborto, lo si fa sempre insieme alla donna: è un porsi accanto alla donna
e chiederle “Di cosa hai bisogno? Cosa posso fare per te? D.
– C'è un parte della legge 194 che è rimasta disattesa: quale in particolare? R.
– La legge 194 è nata sotto la spinta di una sorta di rivendicazione di un veterofemminismo
che spingeva le donne ad una autodeterminazione esasperata e credo che oggi, tra l’altro,
ne cogliamo i frutti nefasti. Quella stessa legge, in cui tra l’altro sotto diversi
slogan veniva portata avanti questa sorta di onnipotenza della donna, si è tramutata
in un boomerang, perché di fatto ha consentito negli anni e nella prassi agli uomini
meno responsabili di lasciare tutto sulle spalle della donna e dire: “E’ un problema
tuo, risolvilo tu!”. Noi cogliamo quanta solitudine vive la donna proprio di fronte
ad una maternità inattesa. La legge, nel suo linguaggio piuttosto ambiguo direi, prevedeva
comunque una parte di cosiddetta prevenzione. Se la 194 diceva che bisogna rimuovere
le cause, vuol dire che comunque l’aborto era l'ultima possibilità: bisognava cioè
aiutare la donna a trovare altre scelte. Ma il problema è questo: oggi la donna è
libera di abortire e non trova in questo nessun tipo di ostacolo, mentre non è libera
di non abortire nel senso che io la libertà la posso esercitare se ho davanti a me
delle opzioni, se ho davanti a me delle proposte alternative. Certamente se l’unica
via di uscita che mi viene data è quella di un certificato di aborto, è chiaro che
questa non è libertà. Un altro aspetto, tra l’altro che era previsto dalla legge,
era la possibilità di coinvolgere l’associazionismo, il volontariato presente sul
territorio: noi sappiamo bene che ai nostri Centri di aiuto alla vita le richieste
che arrivano da parte di consultori sono solo richieste di natura assistenziale. Noi
non vogliamo stare nei consultori, nel processo abortivo e quindi del rilascio del
certificato, ma vogliamo esserci nella fase preliminare. Crediamo che sia doveroso
proporre alla donna tutte le possibili alternative a quello che sappiamo essere un
dramma a prescindere dalle posizioni di favorevoli o contrari: di fatto l’aborto è
un dramma e non solo ovviamente per il bambino, ma anche per la donna. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)