Devastazione a Bangkok: la testimonianza di un missionario
Giornata di calma apparente a Bangkok, che ieri ha vissuto momenti drammatici: prima
l’attacco dei militari contro i presidi delle "camicie rosse", poi la protesta di
queste ultime che ha letteralmente incendiato la capitale: il bilancio è pesantissimo,
14 morti e 91 feriti. Dall'inizio delle proteste sono state uccise 82 persone, tra
i quali il fotoreporter l'italiano Fabio Polenghi. Sulla situazione a Bangkok, ascoltiamo
la testimonianza di Stefano Vecchia, intervistato da Salvatore Sabatino:
R. – La situazione
è di relativa calma, nel senso che non si combatte più se non in alcune sacche di
resistenza. Ancora ci sono dei “rossi”, delle “camicie rosse” nel centro di Bangkok
e ancora le forze speciali li stanno inseguendo all’interno dei grandi magazzini e
delle sedi di uffici incendiati. Io sono qui in uno dei presidi più forti delle “camicie
rosse”, sino a ieri, e la situazione è di calma, anche se ancora ci sono le pile di
copertoni e le barricate che ancora fumano. La battaglia è durata fino a poche ore
fa. La gente, che almeno in questa zona della grande baraccopoli, era riuscita anche
a sostenere le “camicie rosse” ora è qui che guarda attonita la distruzione dei negozi,
delle pompe di benzina, delle banche: interi palazzi sono anneriti e devastati.
D.
– Ora il rischio è che la protesta infiammi tutto il Paese e per evitare questo le
autorità hanno imposto tre notti di coprifuoco a Bangkok ed in altre 23 province…
R.
– Ovviamente la situazione non è sotto controllo e la tensione resta alta. La promessa
che era dei leader di – come dire – vincere la battaglia o devastare Bangkok è stata
mantenuta. Ancora di più c’è però la promessa più dura dell’ala militare delle “camicie
rosse”, che è entrata in clandestinità, di rendere la vita delle autorità, del governo,
dei militari, estremamente difficile e di attivare una vera e propria guerra civile.
La
repressione della protesta può essere dunque considerata una soluzione della crisi?
Antonella Palermo lo ha chiesto a padre Adriano Pelosìn, missionario
del Pime da più di 30 anni in Thailandia:
R. – Sappiamo
che non sarà la soluzione, perché le “camicie rosse” non sono alcune persone, è un
popolo e adesso è diventato un grande popolo a cui non va bene la situazione sociale,
la situazione politica attuale.
D. – Chi sono le
“camicie rosse”?
R. – Le “camicie rosse” sono un
movimento popolare che proviene soprattutto dalle province del Nord e del Nord-Est,
dalle province più povere, che hanno ricevuto grandi benefici al tempo del primo ministro
Taksin e che penso abbiano cominciato anche a capire che loro hanno certi diritti
ed una certa dignità.
D. – Quando ci sono state le
prima avvisaglie di questa conflittualità?
R. – Non
è da oggi, però c’è sempre stata una speranza di dialogo. C’è un po’ di confusione,
mi pare, su chi comandi veramente, chi dia gli ordini, chi li esegua … mi sembra che
ci sia parecchia confusione!
D. – Cosa sta facendo
la Chiesa locale in questa situazione?
R. – C’è una
minuscola Chiesa locale: siamo lo 0,5 per cento, cioè 300 mila cattolici su 60 milioni
di abitanti! La Chiesa locale, comunque, ha avuto anche l’iniziativa di radunare gli
esponenti delle varie religioni – buddista, islamica e cristiana – per chiedere che
finisca la violenza, per chiedere che si risolvano i problemi pacificamente; e hanno
chiesto a tutti i membri delle varie religioni di pregare ogni giorno, alle sei di
sera, per qualche minuto. Si sentiva che sarebbero successe queste cose già sei mesi
fa: se ne parlava, e tanti non ci credevano. Comunque, non è che non si sapesse!
D.
– Ci si appella anche al dialogo interreligioso …
R.
– Si chiede che tutte le parti possano intervenire in modo razionale e pacifico, però
la problematica sociale thailandese è molto antica! Sarà molto dura la soluzione e
ci vorranno molti anni, secondo me … (Montaggio a cura di Maria Brigini)