2010-05-19 15:18:53

Resa dei capi della protesta in Thailandia. Ucciso fotoreporter italiano


Coprifuoco a Bangkok dalle 20 di stasera, attacco in forze dell’esercito al presidio dei manifestanti anti-governativi e un numero di vittime incerto, almeno sei. Queste le ultime ore in Thailandia, dove negli scontri nella capitale è rimasto ucciso anche un fotoreporter italiano, riconosciuto da testimoni sul posto. Si tratta di Fabio Polenghi, di 45 anni. Un altro reporter canadese sarebbe rimasto ferito gravemente. I principali capi della protesta hanno dichiarato la resa per evitare un bagno di sangue. Ma molti oppositori non si danno per vinti: almeno una ventina di palazzi a Bangkok sono stati incendiati; assalita anche la sede di una tv locale. Per le ultime notizie da Bangkok, Salvatore Sabatino ha raggiunto telefonicamente il collega Stefano Vecchia:RealAudioMP3

R. – Ci sono ancora sacche di resistenza nel presidio centrale di Rajprasong e sacche di resistenza che si sono localizzate in alcuni grandi magazzini che vengono dati alle fiamme in queste ultime ore. In questo momento in varie zone della città ci sono ancora forti scontri tra “camicie rosse” e governativi: lì ci sono incendi, che sono poi quelli delle barricate e dei copertoni. Ma sono anche coinvolti gli edifici circostanti alle zone controllate dai manifestanti e dove abitualmente si nascondevano i cecchini. Io sono appena rientrato, facendo un lungo giro per le strade della città, proprio perché è ormai difficile spostarsi. Ho visto numerosi roghi, banche ed uffici pubblici incendiati. C’è molta gente per le strade e questo soprattutto nelle zone più povere. Diciamo che la situazione a Bangkok è tutt’altro che sotto controllo in questo momento.
 
D. – Ora c’è il rischio che la protesta divampi un po’ in tutto il Paese?
 
R. – Sì, questo è un rischio che probabilmente chi ha avviato la repressione, e quindi il governo, hanno messo in conto: così com’era stato promesso, in qualche modo, l’incendio di Bangkok. Le “camicie rosse” probabilmente non hanno la capacità né organizzativa né certamente tattica per organizzare una guerriglia, una guerriglia urbana o ancor più una rivolta vera e propria. Possono in qualsiasi momento ripiegare su questa tattica di combattimento strada per strada incendiando quelli che per loro sono gli edifici simbolo del potere.
 
Fabio Polenghi, il fotoreporter italiano rimasto ucciso questa mattina a Bangkok, è il dodicesimo professionista dell'informazione morto sul campo in questa prima metà del 2010, secondo un elenco pubblicato sul sito di “Reporter senza frontiere”. Salvatore Sabatino ne ha parlato con il vice-presidente dell’organizzazione, Domenico Affinito:RealAudioMP3
 
R. – Fabio Polenghi era un fotoreporter freelance che collaborava molto, come capita ormai sempre più spesso ai fotoreporter italiani, con le testate estere ed era molto proiettato verso la Francia, dove aveva fatto anche delle esposizioni alla Cité de l’Industrie e all’Expò dei Libri. Collaborava con Marie Claire, con Vogue. Come molti fotoreporter di guerra - soprattutto quelli dell’ultima generazione - non riusciva a mantenersi facendo solo il fotoreporter e, quindi, mischiava quest’attività a quella di moda. Sappiamo che era in Thailandia da tre mesi: quindi un tempo abbastanza lungo per aver preso sicuramente contatti in modo approfondito e per conoscere bene la situazione.
 
D. – Molti analisti escludevano che si potesse arrivare ad un vero e proprio bagno di sangue, nonostante il braccio di ferro tra i sostenitori dell’ex premier e le “camicie rosse”. Ma in Thailandia c’erano state delle avvisaglie su possibili pericoli per gli operatori dell’informazione?
 
R. – C’erano state già in passato, perché poco tempo fa, quando era già in corso questa protesta dell’opposizione è morto un altro giornalista. Il 10 aprile scorso è morto Hiroyuki Muramoto della Reuters. Va da sé che in una situazione di quel tipo i rischi sono tantissimi, soprattutto se si fa la scelta – come pare avesse fatto Fabio Polenghi – di stare dalla parte dei più deboli, di quelli che rischiano di più, nel campo dei ribelli, che sono ovviamente meno armati dell’esercito, che sono asserragliati in questa zona commerciale di Bangkok.
 
D. – La morte di Fabio Polenghi dimostra la pericolosità di questo lavoro per i tanti operatori che si trovano a dover raccontare la cronaca dal mondo, soprattutto in situazioni difficili come quella thailandese. Molto spesso operano anche senza tutele…
 
R. – Le tutele mancano soprattutto agli operatori freelance e quindi a giornalisti, fotografi e fotoreporter. Noi per questo, ad esempio, forniamo una serie di strumenti - come giubbotto antiproiettile o un’assicurazione a basso costo - proprio perché sono le cose basilari che si debbono avere nel momento in cui si va in una zona di guerra. In realtà, molto spesso, i freelance non riescono a permettersi questo tipo di tutele.







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