La Nato respinge attacco talebano in Afghanistan. Oggi rientro in Italia delle salme
dei militari uccisi
A due giorni dall’attentato in cui hanno perso la vita due militari italiani in Afghanistan,
proseguono gli attacchi dei talebani contro le basi della coalizione internazionale.
Duri combattimenti si sono verificati all’alba di oggi nei pressi della base aerea
statunitense di Bagram. Intanto, il ministro della difesa Ignazio La Russa riferendo
al Parlamento sulla missione in Afghanistan ha annunciato l’invio entro giugno di
altri mille militari di rinforzo. Il servizio di Barbara Schiavulli:
Nonostante
gli sforzi per la normalizzazione dell’Afghanistan da parte dei paesi della coalizione
internazionale, dopo quasi nove anni di guerra i talebani mantengono il controllo
su molte aree del paese. Ce ne parla Marco Lombardi, responsabile dei Progetti educativi
in Afghanistan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, intervistato da
Stefano Leszczynski:
R. - Tutti
ci si aspettava una recrudescenza estiva delle attività talebane, e questo di tipo
ambientale è un dato che ricorre. Quello che è successo nelle ultime ore è ciò che
accade quotidianamente in Afghanistan nei confronti di Isaf e di Nato. Se voi siete
a Kabul, il quartier generale della Nato, vedete tutti i giorni le bandiere a mezz’asta:
vuol dire che c’è un morto nel Paese delle truppe Nato tutti i giorni. Fa parte del
rischio dell'essere in Afghanistan, ed è una ragione per restare in Afghanistan.
D.
– Come mai nonostante tutto l’impegno che si profonde nel settore umanitario e nella
ricostruzione, non si riesce a conquistare ancora il cuore di questo Paese?
R.
– Anche su questo argomenterei. Attenzione, bastano dieci persone, cinque persone,
una persona che ha deciso di morire, facendosi saltare in aria, per ucciderti, senza
che questo voglia dire che gli altri milioni di persone che sono nel Paese non siano
dalla tua parte. C’è sicuramente una componente radicale talebana, ma non stiamo dicendo
che sia la componente maggioritaria.
D. – In sostanza,
possiamo dire che è una situazione comunque un po’ paradossale: da un lato, uno scenario
di guerra; dall’altro, uno scenario d’intervento di aiuto alla popolazione. Sono due
aspetti sempre complicati da conciliare...
R. – Sono
due aspetti complicati, ma sempre più di frequente nel nostro mondo andranno insieme.
Noi dobbiamo pensare sempre più di fare degli interventi con i quali l’esercito è
chiamato a rendere sicuro l’ambiente entro il quale possiamo portare dello sviluppo.
Quindi, le due cose vanno di pari passo in Afghanistan e devono andare di pari passo.
D.
– Lei stesso si occupa di progetti di assistenza e cooperazione. Quali sono le priorità,
secondo lei, che bisogna affrontare in questo momento per questi settori?
R.
– Oggi, direi investire sulle risorse umane. C’è da dire, ad esempio agli italiani,
per chi non lo sa, che a Herat hanno costruito negli ultimi cinque anni 85 scuole
ponti e strade. Le infrastrutture quindi ci sono. Oggi, insieme a queste stesse persone,
al nostro esercito portiamo educazione: si collabora con e tra Università per investire
sul capitale umano. E’ attraverso questo, anche, che si condivide un futuro insieme
agli afgani.