La Comunità di Sant'Egidio contro la pena di morte: sempre più condivisa l'abolizione
su scala internazionale. Intervista con Mario Marazziti
“Dalla moratoria all’abolizione della pena di morte”. Questo il titolo del quinto
Congresso dei ministri della Giustizia che ha riunito ieri e oggi a Roma rilevanti
personalità di governo provenienti da oltre 30 Paesi. Ad organizzare l’evento la Comunità
di Sant’Egidio, in vista della votazione all’Assemblea Generale dell’ONU della terza
risoluzione sulla Moratoria Universale. Ma qual è il valore di questo appuntamento?
Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Mario Marazziti, portavoce della Comunità
di Sant’Egidio:
R. - Sia
un grande laboratorio dove Paesi che hanno abolito la pena capitale, Paesi che hanno
una moratoria di fatto e magari possono trovare le esperienze dell’altro utili per
passare una moratoria per legge, o all’abolizione, o Paesi che hanno ancora l’uso
della pena di morte lavorano assieme alla Comunità di Sant’Egidio per aiutare ognuno
a fare quel passo in più.
D. – Quali progressi si
registrano nel cammino verso l’abolizione della pena di morte?
R.
– Dal 2007, sono impressionanti. L’Uzbekistan ha abolito la pena di morte, come pure
il Gabon, il Kazakistan, il Burundi. Il Rwanda ha ratificato il secondo Protocollo
opzionale e un documento Onu che è l’unico documento completamente abolizionista e
vincolante. Abbiamo poi la Mongolia: il presidente ha siglato una moratoria di legge
che guarda all’abolizione ed è un Paese nel cuore dell’Asia. Anche l’Asia in effetti
si muove. Ci sono settemila condanne capitali in Pakistan in discussione se commutarle
tutte in una sentenza carceraria. Il New Mexico e il New Jersey, negli Stati Uniti,
hanno abolito la pena di morte. C’è la notizia negativa di Taiwan che riprende le
esecuzioni, ma abbiamo il Giappone che è un anno che non compie esecuzioni. E abbiamo
la speranza che Stati Uniti, Giappone e India presto diventino dei giganti che sospendano
almeno le esecuzioni e passino sul terreno di una moratoria. Insomma, la pena di morte
non è più solo una questione interna degli Stati, è la grande questione del mondo:
questo è il risultato e questo è l’obiettivo che ci riproponiamo all’approvazione
della prossima risoluzione all’Onu.
D. – Cos’altro
c’è da fare, quali sono le altre emergenze?
R. –
C’è una grande emergenza che è anche culturale, civile, di affermare la cultura di
vita e non una cultura di morte. Il grande ruolo dell’Europa, contro la pena di morte,
nel tempo aiuterà anche a un ripensamento sul tema della vita, su altri terreni. D’altra
parte, bisogna lavorare perché la prossima risoluzione non sia solo di alcuni Paesi
del mondo "illuminati", ma sia sponsorizzata da oltre 90 Paesi e che in realtà riaffermi
questo trend inarrestabile.