Aghanistan, nuovo attacco: morti 6 soldati Isaf e 12 civili
Sei soldati della missione Isaf in Afghanistan e 12 civili sono stati uccisi in un
attentato rivendicato dai talebani nel cuore di Kabul. Cinque dei militari sono americani.
Un kamikaze alla guida di un'autobomba si è lanciato contro un convoglio statunitense.
Si tratta dell'attacco più sanguinoso assieme a quello che, nel settembre scorso,
causò la morte di sei soldati italiani. L'attentato segue l'annuncio dei talebani
di un’offensiva contro il governo di Kabul, le forze straniere e i diplomatici in
risposta alle operazioni Nato per strappare Kandahar al controllo dei talebani. A
Marco Lombardi, responsabile dei Progetti educativi in Afghanistan dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Stefano Leszczynski ha chiesto come sia
cambiato lo scenario afghano:
R. - Tutti
ci si aspettava una recrudescenza estiva delle attività talebane, e questo di tipo
ambientale è un dato che ricorre. Quello che è successo ieri e oggi è ciò che accade
quotidianamente in Afghanistan nei confronti di Isaf e di Nato. Se voi siete a Kabul,
il quartier generale della Nato, vedete tutti i giorni le bandiere a mezz’asta: vuol
dire che c’è un morto nel Paese delle truppe Nato tutti i giorni. Fa parte del rischio
dell'essere in Afghanistan, ed è una ragione per restare in Afghanistan. D.
– Come mai nonostante tutto l’impegno che si profonde nel settore umanitario e nella
ricostruzione, non si riesce a conquistare ancora il cuore di questo Paese? R.
– Anche su questo argomenterei. Attenzione, bastano dieci persone, cinque persone,
una persona che ha deciso di morire, facendosi saltare in aria, per ucciderti, senza
che questo voglia dire che gli altri milioni di persone che sono nel Paese non siano
dalla tua parte. C’è sicuramente una componente radicale talebana, ma non stiamo dicendo
che sia la componente maggioritaria. D. – In sostanza, possiamo
dire che è una situazione comunque un po’ paradossale: da un lato, uno scenario di
guerra; dall’altro, uno scenario d’intervento di aiuto alla popolazione. Sono due
aspetti sempre complicati da conciliare... R. – Sono due aspetti
complicati, ma sempre più di frequente nel nostro mondo andranno insieme. Noi dobbiamo
pensare sempre più di fare degli interventi con i quali l’esercito è chiamato a rendere
sicuro l’ambiente entro il quale possiamo portare dello sviluppo. Quindi, le due cose
vanno di pari passo in Afghanistan e devono andare di pari passo. D.
– Lei stesso si occupa di progetti di assistenza e cooperazione. Quali sono le priorità,
secondo lei, che bisogna affrontare in questo momento per questi settori? R.
– Oggi, direi investire sulle risorse umane. C’è da dire, ad esempio agli italiani,
per chi non lo sa, che a Herat hanno costruito negli ultimi cinque anni 85 scuole
ponti e strade. Le infrastrutture quindi ci sono. Oggi, insieme a queste stesse persone,
al nostro esercito portiamo educazione: si collabora con e tra Università per investire
sul capitale umano. E’ attraverso questo, anche, che si condivide un futuro insieme
agli afgani.