"Una tenda per l'incontro": è il tema della XIX Festa dei Popoli. A San Giovanni in
Laterano la Messa celebrata dal cardinale Vallini
Si celebra oggi a Roma la XIX edizione della Festa dei Popoli sul tema "Una tenda
per l’incontro". 42 le etnie presenti in Piazza San Giovanni in Laterano e 27 i gruppi
che hanno animato la Messa di stamani in Basilica, presieduta dal cardinale Agostino
Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma. Oggi pomeriggio, poi, 26 gruppi
balleranno dando vita ad una vera e propria festa. “La Festa dei Popoli - afferma
il responsabile dell’evento, padre Gaetano Saracino,parroco scalabriniano
del Santissimo Redentore a Val Melaina, dove la Festa è nata nel 1992 – è un indicatore
di direzione, per raccontare alle comunità alle quali si rivolge qual è la strada
da seguire affinché la convivenza possa essere pacifica”. Ma quali sono i passi da
fare lungo questo percorso? Lo stesso padre Saracino ne parla al microfono di Claudia
Di Lorenzi:
R. – Noi
proponiamo l’intelligenza della condivisione, l’accettazione delle differenze e il
coraggio della convivenza. Noi non abbiamo ricette preconcette. Vorremmo proprio partire
da un dato, che le differenze non sono un impedimento.
D.
- Dal 1992, quanto è cambiato il rapporto fra italiani e migranti? È possibile intravedere
un progresso nel percorso di reciproca accoglienza e d’integrazione? Di consapevolezza
reciproca…
R. – Decisamente sì. Si parlava di accoglienza
negli anni ’90: erano gli anni degli sbarchi dall’Albania. Si è parlato di appartenenza,
quando eravamo al Giubileo del 2000. Oggi si parla di prospettive, di futuro, quale
direzione dare a questa convivenza.
D. - C’è molto
da lavorare anche sugli stessi italiani…
R. – Decisamente
sì, perché abbiamo un’Italia secondo me a due velocità. C’è un dato di fatto di base,
delle comunità che realmente lavorano a fianco a fianco, costruendosi giorno per giorno
la convivenza. C’è poi un’Italia, che è quella istituzionale, o meglio quella de media,
che divulgano soltanto un certo tipo di notizie, quando si parla di immigrati. Ecco,
in questa domenica, facciamo venire fuori quella convivenza pacifica, che giorno per
giorno le nostre comunità stanno costruendo.
D. -
Rifiutare una società multiculturale vuol dire oggi evitare il confronto con la modernità…
R.
– Sì, nel mondo ci sono più di 200 milioni di persone che vivono in una nazione in
cui non sono nate, sono persone che si muovono per dare prospettiva ad essi stessi.
Però, è stato calcolato che, nelle società dove queste persone sono approdate, le
società sono migliorate, come persone, come comunità ecclesiali e civili, dalla convivenza
dei "diversi".
D. - Soprattutto negli ultimi anni,
assistiamo al dramma dei respingimenti di tanti migranti che si avvicinano ai confini
italiani ed europei. Pur considerando le dovute misure sotto il profilo della legalità
e dell’ordine pubblico, voi sottolineate che rifiutare i migranti significa anche
perdere la ricchezza che essi rappresentano per i Paesi di accoglienza, sotto il profilo
culturale, umano, oltre che meramente economico...
R.
– La legalità ci sta a cuore a tutti ed è giusto preservarla. Emigrare è un diritto,
però non è un diritto quello di fare emigrare e, quindi, un’azione che vada ad incidere
anche nei Paesi da cui queste persone provengono. Crediamo che sia uno dei luoghi
dove operare a tutti i livelli, istituzionali, politici ed economici, unitamente a
quella che è l’accoglienza. E poi anche valutare meglio la presenza di coloro che
sono in un’altra nazione, perché sono venuti a migliorare le loro condizioni di vita
e vanno a migliorare la condizione di vita nella nazione cui partecipano con le tasse,
il lavoro e con la loro presenza.