2010-05-13 15:15:42

Negoziati indiretti per il Medio Oriente. Padre Pizzaballa: manca la fiducia reciproca


Sono ripresi ufficialmente, domenica scorsa, i negoziati tra Palestina e Israele, con la mediazione degli Stati Uniti. Leader israeliani e palestinesi hanno incontrato in questi giorni il diplomatico statunitense George Mitchell, in quelli che sono stati definiti ‘proximity talks’, cioè negoziati indiretti. Da parte sua, il primo ministro israeliano Netanyahu ha affermato che "trattative dirette e incontri faccia a faccia devono verificarsi presto perché non è possibile ottenere la pace a distanza, come se si stesse utilizzando un telecomando." In ogni caso, è stato interrotto lo stallo che durava ormai da 18 mesi. Fausta Speranza ne ha parlato con padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa: RealAudioMP3

R. – Di dialogo, di incontri, di un clima più positivo ancora non si parla, ad essere sincero. E’ ancora presto, perché veniamo da un periodo di assenza di negoziato totale ed anche di grande sospetto, almeno a livello politico, che non si scioglie solo con i primi annunci di incontri. Ci vorrà sicuramente ancora un po’ di tempo e bisognerà soprattutto vedere se dopo questi primi incontri, questo ghiaccio che c’è tra le due parti si scioglierà oppure se siamo ancora di fronte all’ennesima tattica, che però lascia invariata la situazione. L’opinione pubblica è ancora piuttosto tiepida e così sono anche i giornali e il sentire comune.
 
D. – Si parla, non a caso, di colloqui indiretti, perché al momento non è possibile far sedere le due parti – israeliani e palestinesi – allo stesso tavolo. Nella realtà, padre Pizzaballa, questo che cosa significa: una tensione davvero forte?
 
R. – A livello della vita di tutti i giorni questo non influisce forse molto, perché la situazione rimane invariata da molto tempo. Questi colloqui indiretti indicano sospetto, una mancanza di fiducia reciproca, che poi si ripercuote, passa anche attraverso l’opinione pubblica e arriva al pensiero comune. Speriamo che dai colloqui indiretti con questi mediatori si passi poi ad una fase più diretta, che possa influire di più. In questo momento, però, siamo ancora in una fase prematura e si dovrà attendere. Speriamo che si sciolga la situazione, che rimane però molto tesa e rigida.
 
D. – Padre Pizzaballa, qualunque segnale che vada nella direzione di un processo di pace deve essere un motivo di speranza e ... non bisogna stancarsi di rinnovare la preghiera...
 
R. – Sì, bisogna sempre sperare, bisogna certamente lavorare a tutti i livelli, perché questa situazione si sblocchi. Come credenti, innanzitutto la preghiera, e lavorare perché la gente e un po’ tutti si convincano della necessità di andare avanti, andare oltre, soprattutto non fermarsi alla situazione presente, ma avere il coraggio di andare oltre. Siamo nella terra dei profeti, quindi dobbiamo vedere anche quello che non c’è. E poi lavorare come Chiesa internazionale, perché la comunità internazionale sia più presente e partecipe di questa situazione.
 
D. – Padre Pizzaballa, c’è una responsabilità mediatica? In questi giorni, questo processo di pace, anche se a livello di colloqui indiretti, è ripreso ma nel silenzio generale dei media. Non le sembra che forse invece bisognerebbe sostenere anche a livello mediatico questo tentativo?
 
R. – I media sicuramente hanno una grandissima importanza, perché sono loro che creano l’opinione pubblica, sono loro che influiscono in maniera determinante. La pace non la fanno soltanto i due leader che hanno contratto un accordo: la pace è una mentalità, un modo di pensare, un fiume, un’onda che deve coinvolgere un po’ tutte le parti della società e, in questo senso, i media hanno una responsabilità che è determinante, se non quasi totale. Anche i media, però, molto spesso hanno delle logiche, delle dinamiche, che non sono quelle di creare la pace, ma di inseguire le notizie sensazionali, ahimè.







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