2010-05-11 11:46:48

Attentati in Iraq: oltre 110 morti


Sale ad oltre 110 morti il drammatico bilancio della serie di attentati che ha sconvolto ieri l’Iraq nella giornata più sanguinosa dell’anno: colpiti in attacchi kamikaze e autobomba, civili e militari a Baghdad, Mosul, Bassora, Hilla e altre città. L’ex premier e vincitore delle ultime legislative, Allawi, ha affermato che tutti i gruppi politici hanno abbandonato gli sforzi per costruire un governo unitario e stanno perseguendo interessi etnici con il sostegno dell’Iran. Si avvicina, intanto, la data del ritiro di buona parte delle forze statunitensi. Il rischio – sottolinea l'ex primo ministro iracheno - è un pericoloso allargamento della guerra irachena. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento del delegato di Pax Christi Italia per l'Iraq, don Renato Sacco: RealAudioMP3

R. – L’Iraq è continuamente sottomesso ad un calvario di grossi interessi che sono in campo; sicuramente nella formazione del governo si rivendicano le postazioni a suon di morti, a suon di attentati.

 
D. – Colpiti una moschea, una stazione della Polizia, civili, militari… insomma obiettivi diversificati…

 
R. – Questo ci conferma che questa violenza è contro la popolazione: a volte contro i cristiani, com’è successo qualche giorno fa, e a volte indiscriminata contro tutti. Credo che ci debba essere un sussulto di coscienza da parte di tutti per non abituarci a questa tragedia.

 
D. – Questo anche a livello internazionale?

 
R. – La Comunità internazionale ha appoggiato - di fatto - la guerra in Iraq e adesso sembra essere un osservatore. Ma noi abbiamo delle grosse responsabilità: il mondo non può essere distratto e guardare da un’altra parte quando lì c’è in gioco la vita delle persone e, forse, anche la sopravvivenza dello stesso Iraq come mosaico di convivenza culturale e religiosa che, se salta, non fa saltare solo l’Iraq, ma il Medio Oriente con delle conseguenze grandi anche per l’Occidente.

 
D. – Quindi è importante anche un’azione di mediazione forte, di pacificazione…

 
R. – Io credo che la comunità si debba far vedere, anche per spegnere gli odi. Se ci si presenta in altro modo, con vesti di pace e di dialogo – come con Pax Christi abbiamo cercato di fare – si riescono ad incontrare sciiti, sunniti, curdi, cristiani. Credo che sia importante anche una presenza fisica per lavorare sulla mediazione. Credo che l’unica strada possibile sia quella di investire proprio sul dialogo, sulla mediazione, sull’incontro, sul sedersi intorno ad un tavolo regionale. Per questo credo che ci sia bisogno di investimenti e non tanto economici. E' necessario investire in tempo e in persone che credono in questa strada, altrimenti la strada più facile in discesa è quella della violenza.

 
D. – Lei ribadisce anche che in Iraq c’è il rischio di forte assuefazioni alla violenza. In che senso?

 
R. – Perché non succeda come la Bosnia, dove siamo stati tante volte e dove nel ’92 le nostre cronache erano più impegnate a riferire del Campionato di calcio che delle granate che colpivano quel territorio. Oggi sappiamo che la Bosnia è tutt’altro che in pace. Non vogliamo che succeda così anche per l’Iraq, magari diviso tra sciiti, sunniti e curdi, con le minoranze che pagano – cristiani e non solo – e con un mondo un po’ distratto che sta a guardare e che magari aspetta un po’ di calma per fare business. Credo che ci debba essere un sussulto di coscienza da parte di tutti - mezzi di informazione, cristiani e non cristiani, politici - per non abituarci a questa tragedia.







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