A Bruxelles, vertice Commissione Ue-Ecofin per il piano salva-euro
Giornata di lavori a Bruxelles, dove Commissione Europea e Ecofin metteranno a punto
il piano di stabilizzazione per blindare la zona dell'euro contro i rischi di instabilità
e gli attacchi dei mercati. Le proposte indicate nella notte di venerdì dai leader
dei 16 Paesi dell'Eurozona sono in discussione in una riunione straordinaria della
Commissione Ue e nel pomeriggio passeranno al vaglio dei ministri delle finanze della
Ue, ai quali spetta la parola conclusiva. Intanto, la debolezza dell’euro innescata
dalla crisi economico-finanziaria della Grecia, oltre a far tremare i mercati negli
ultimi giorni, sta alimentando molte voci, anche le più disparate, su quale sia la
strada migliore per uscire dalla crisi e ritrovare la perduta stabilità. Alcuni osservatori
hanno ipotizzato persino l’abbandono della moneta unica e il ritorno alle divise nazionali.
Luca Collodi ha chiesto cosa ne pensi all’economista, Stefano Zamagni:
R. – Penso
si tratti di un ragionamento, come si suole dire, “al limite”. E i ragionamenti al
limite possono soddisfare la fantasia o la speculazione teorica, ma non tengono conto
del dato di realtà. Primo, perché non è ragionevole pensare oggi a un esito catastrofico
di quelli che sono descritti. Secondo, perché anche se così fosse, l’uscita dall’euro
porterebbe un vantaggio – tramite la svalutazione delle monete dei Paesi in difficoltà
– di breve termine. Quindi, ancora una volta bisognerà essere un po’ più saggi perché
l’uscita dall’euro peggiorerebbe inevitabilmente la situazione, anche se nel brevissimo
termine potrebbe portare una boccata d’ossigeno. Non è questo il modo di affrontare
il problema.
D. – Spesso, si dice che l’Europa, politicamente,
sia debole. Ma spesso sono i politici europei ad apparire in qualche modo bloccati
dal fatto che all’interno dei rispettivi Stati le opinioni pubbliche non sono poi
così favorevoli all’Unione Europea, almeno così come viene pensata ad un certo livello
politico. Lei cosa ne pensa?
R. – Penso che la cosiddetta
opinione pubblica sia il riflesso ragionato di quello che si avverte dall’alto. In
altre parole: se i governanti dei singoli Paesi tra di loro, maggioranza e opposizione,
non trovano l’accordo su un obiettivo strategico di questo tipo, è evidente che i
rispettivi gruppi di cittadini non faranno altro che allargare e dilatare il disaccordo.
Ma la responsabilità ultima è sempre dei governanti. E’ chiaro che l’opinione pubblica,
poi, rafforza ed agisce da volano, da moltiplicatore. Ma all’origine sta esattamente
il messaggio. Un’autorità che sia “autorevole” è quel soggetto che sa indicare alla
cittadinanza di riferimento la direzione di marcia ed è quello che oggi manca.
D.
Lei pensa che il basso consenso che oggi riscuotono i politici in tutti i Paesi sia
superabile per arrivare ad una governance più generale dell’Unione Europea?
Si può fare una cosa contro il volere del popolo?
R.
– No, non è contro il volere del popolo. E’ che il popolo riflette quello che i governanti
pensano. E’ un po’ come una famiglia: se madre e madre litigano di continuo, i figli
crescono con l’idea che il litigio sia l’elemento costitutivo della famiglia. Ecco
perché i genitori normali non litigano mai di fronte ai figli, se hanno qualcosa da
dire se lo vedono fra di loro. La stessa cosa avviene nella sfera politica, ma queste
sono cose che si sapevano già ai tempi degli antichi romani. E’ chiaro che non si
può andare contro la volontà del popolo, ma il popolo – per via delle asimmetrie informative
– non può avere accesso a tutte le informazioni che sono invece in possesso dei politici.
Bisogna quindi che i politici tornino a parlare la lingua del bene comune. Tutti a
parole dicono “il bene comune” ma, primo, non sanno cosa sia il bene comune e, secondo,
basta chiedere ad un politico: “Che differenza c’è tra bene comune e bene totale”?
Lei vedrebbe che pochissimi saprebbero cogliere la differenza. Oggi, si ragiona in
termini di bene totale e non invece di bene comune. (Montaggio a cura di
Maria Brigini)