Conferenza all'Angelicum sul dialogo interreligioso
Un appuntamento intenso, quello che si è tenuto mercoledì scorso all'Angelicum di
Roma, dove una giovane teologa musulmana anglo-pakistana, Mona Siddiqui, direttrice
del “Center for the Study of Islam” dell'università di Glasgow, una delle voci più
autorevoli nei circoli accademici islamici, ha proposto un modo nuovo per l’islam
di guardare all’ebraismo e al cristianesimo, in occasione della terza conferenza annuale
sul dialogo tra le religioni della Pontificia Università San Tommaso d'Aquino. C’era
per noi Claudia Di Lorenzi:
Una teologia islamica fondata sul concetto
di “compassione” che favorisce l’incontro e il dialogo fra le religioni monoteiste:
da qui muove l’intervento della teologa musulmana Mona Siddiqui, che all’Angelicum
ha lanciato la proposta di una teologia islamica che valorizza il pluralismo e la
diversità che – dice la studiosa – sono “volontà di Dio”, quell’unico Dio a cui, seppur
in forme differenti, cristiani, ebrei e musulmani si rivolgono. “L’unitarietà e la
diversità dell’umanità – spiega – sono temi che coesistono nel Corano” e possono essere
interpretati sia in senso inclusivista che esclusivista, e proprio da questa scelta
dipende la possibilità del dialogo e di una convivenza pacifica fra popoli di fedi
diverse, giacché – sottolinea Mona Siddiqui - la vera sfida del pluralismo è “convivere
nella quotidianità, traducendo la teologia nella vita pratica”:
“ People
already have cooperation on a social level… Le persone già cooperano a livello
sociale ed ecco perché è importante che capiscano le implicazioni di essere aperti,
di un vero pluralismo, che ci richiede di pensare alle famiglie che stiamo crescendo,
che ci impone di pensare alle nuove generazioni, perché non finiscano con il vivere
in comunità emarginate”. Un impegno al dialogo e alla cooperazione che
coinvolge sempre più anche i musulmani:
“I was born in Pakistan, I
was raised… Sono nata in Pakistan e sono cresciuta nel Regno Unito, ma conosco
la situazione delle minoranze religiose nei Paesi musulmani e penso che ci sia davvero
un problema lì e penso che la percezione di molte persone sia quella secondo la quale
le comunità musulmane richiedono tolleranza quando vivono all’estero, ma non la possono
dare quando vivono in patria. Penso che molti di noi stanno cercando di dissociarsi
da quel tipo di visione dell’islam. Quindi, alcuni di questi messaggi sono messaggi
molto semplici, ma devono essere ripetuti. E uno di questi è: come si può dare e ricevere
in uno spirito di generosità?”.
Ma qualunque forma di dialogo – prosegue
– si fonda sull’umiltà e la volontà di venirsi incontro, come pure, aggiunge il rabbino
Jack Bemporad, direttore in New Jersey di un Centro per la Comprensione
Interreligiosa – sulla ricerca della Verità: “Io credo che la conoscenza
sia essenziale. E questo proprio per le difficoltà che nel passato facevano dire:
'questa è la mia religione e solo noi abbiamo tutte le cose che sono buone'. Il Concilio
Vaticano II ha cambiato completamente questo modo di vedere, dicendo che è necessario
capire e rispettare l’altro per la rappresentazione che dà di se stesso. Questo lo
dovrebbero fare anche le altre religioni”.
L’idea della comune radice
in Dio – conclude Mona Siddiqui - scardina il concetto di “infedele” e i presupposti
che alimentano guerre e conflitti interreligiosi. Anche se – precisa la teologa musulmana
– il dialogo deve trovare sostegno nella volontà politica per sortire un reale cambiamento,
altrimenti “rimane un nobile esercizio con un limitato effetto riconciliatorio”.