"Ars Amoris", musica e parole ispirate al Curato d'Ars: l'intervento del cardinale
Grocholewski
“Nessuna difficoltà ha potuto frenarlo, perché egli non poggiava su di sè, ma su Dio”.
Con queste parole il cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per
l’Educazione Cattolica, ha definito la “straordinaria vicenda” del Santo Curato d’Ars,
al termine del ConcerTheatre “Ars Amoris – l’Amore che viene da Ars”, presentato a
Roma, ieri, nell’Aula Magna della Pontificia Università Lateranense, in preparazione
alla conclusione dell'Anno Sacerdotale. Il porporato ha quindi messo in luce “le “cattedre”
dalle quali San Giovanni Maria Vianney apprendeva l’Ars Amoris: l’altare, il tabernacolo
e il confessionale. Rivolgendosi agli studenti dei Collegi Romani ha poi concluso:
"Qui a Roma si studia, ci si specializza, si fanno ricerche e si elabora. Ma soprattutto
si tratta di andare alle radici della vita cristiana: l’arte di amare Dio e di amare
gli uomini tutti". E ha citato Benedetto XVI al momento dell’apertura dell'anno dedicato
ai sacerdoti: "Per essere ministri al servizio del Vangelo, è certamente utile e necessario
lo studio con un’accurata e permanente formazione teologica e pastorale, ma è ancor
più necessaria quella 'scienza dell’amore' che si apprende solo nel 'cuore a cuore'
con Cristo". Ma che tipo di opera è “Ars Amoris”? Adriana Masotti lo ha chiesto
a Maffino Redi Maghenzani, sacerdote focolarino, regista e ideatore dello spettacolo
che sarà replicato nei prossimi mesi in diverse località:
R.
– Noi parliamo di “ConcerTheatre”, cioè un concerto teatrale e un teatro musicale,
dove la parola e la musica non si sommano, non si schiacciano, ma si esaltano l’un
l’altra, proprio come in un connubio in cui vediamo come ognuna di queste due espressioni
sia potenziata.
D. – Quali sono gli aspetti del
Santo Curato d’Ars che vengono maggiormente in rilievo da quest’opera?
R.
– Il Curato d’Ars vive nell’epoca della Rivoluzione francese e quindi in un’epoca
di grave difficoltà per la Chiesa. Lui esprime – ecco il titolo “Ars Amoris” – una
misura d’amore così grande, con la quale sa reagire e anche controbattere le sfide
del tempo, e vincerle: dopo nove anni che era ad Ars si presentano da lui per la confessione
venti persone al giorno; dopo 12 anni, trenta persone, quaranta persone e arriviamo
a 300 persone; in un anno, 80 mila persone. La gente diceva: “Andiamo a vedere Dio
in un uomo!”. Un uomo che dice: “Se Dio avesse trovato uno più indegno e più ignorante
di me, lo avrebbe scelto”. Quello che me l’ha reso vicino è questa sua contemporaneità.
E’ un uomo che ha vissuto in se stesso una profonda contraddizione; addirittura lui
rivela, ad un certo punto, che la sua tentazione maggiore era la disperazione: la
disperazione di sentire il divario tra il suo ideale e ciò che era. Gli sembrava che
la gente lo seguisse e allora diceva: “Se la gente mi segue, io li sto ingannando:
sono un ipocrita!”. Questa contraddizione se l’è trascinata tutta la vita, così come
il suo desiderio di fuggire da Ars. E poi, a tutti comunicava il suo amore per Dio,
il suo amore per il prossimo. C’è una scena intensa dello spettacolo dove lui si ferma,
guarda il pubblico e dopo aver parlato dell’amore di Dio e del prossimo, ripete tre
volte:“è tutto qui!, è tutto qui!, è tutto qui!”.
D.
– Il Curato d’Ars ha qualcosa da dire non solo ai sacerdoti, ai quali viene presentato
in quest’anno particolare come modello, ma anche ai laici, a tutti gli uomini e alle
donne …
R. – Io penso che abbia da dire anche qualcosa
a chi non si riconosce in una fede religiosa, perché l’amore è qualcosa di profondamente
umano e di profondamente universale. Per questo noi abbiamo voluto accentuare questo
aspetto.
D. – Qual è il messaggio che voi vi augurate
rimanga?
R. – Quello che ci stupisce è constatare
come il Curato d’Ars diventi prima, vicino al cuore e all’anima di ciascuno diventando
amico e lasci poi– e questo ce l’hanno detto le migliaia di persone che ormai hanno
visto lo spettacolo – un anelito di santità. Si sono espressi così vescovi, sacerdoti,
religiosi, laici, adulti, bambini, ragazzi … Si sono espressi così al termine dello
spettacolo. Un anelito di santità che nasce dentro, il senso che forse la vera nostalgia
che dobbiamo avere è la nostalgia della santità.