Times Square: attentatore nega legami col terrorismo
E’ stato formalmente incriminato negli Stati Uniti il trentenne pakistano Faisal Shahzad
arrestato per il fallito attentato di Times Square a New York. L’uomo, naturalizzato
americano, avrebbe parzialmente confessato di avere preparato l’attacco terroristico,
negando tuttavia di far parte di una cellula organizzata. Nonostante le indagini portino
lontano da Al Qaeda, numerosi arresti sono stati compiuti anche in Pakistan, dove
l’intelligence locale si è immediatamente attivata in collaborazione con le autorità
Usa. Il fallito attentato avrebbe comunque potuto risolversi in una strage e la paura
che regnava dopo gli attentati dell’11 settembre torna a farsi palpabile. Il commento
di Loretta Napoleoni, esperta di terrorismo internazionale intervistata da
Stefano Leszczynski:
R. – E’ possibile
che la psicosi possa riprendere, ma non certo con l’intensità che abbiamo visto in
passato. Non credo che ci troviamo di fronte ad una minaccia del tipo dell’11 settembre.
Abbiamo di fronte dei dilettanti e, quindi, fortunatamente questi attacchi non vanno
in porto. D. – In ogni caso, dilettanti che si sono formati
in campi di addestramento, che hanno potuto disporre di fondi. Si può immaginare che
dietro ci sia, comunque, qualcosa di più grosso? R. – Questo
è interessante. Il fatto che questo individuo si sia formato in un campo di addestramento
dà un po’ l’idea che il campo di addestramento oggi come oggi e specialmente in questa
zona non ha nulla a che vedere con i campi di addestramento degli anni Ottanta e degli
anni Novanta in Afghanistan: quelli gestiti appunto da Bin Laden e da Al Qaeda. E
questo perché se è vero che ci sia stato questo addestramento è stato limitato soltanto
agli usi degli esplosivi, senza un addestramento comportamentale e del funzionamento
dell’attività del terrorista. D. – Nuovamente l’aspirante terrorista
era integrato nella società americana… R. – Sì, questo sicuramente
è un elemento che vedremo tornare alla ribalta nel futuro: l’indottrinamento avviene
nel tessuto sociale della società occidentale. Dalle informazioni che riceviamo da
parte delle autorità dell’antiterrorismo, questo è un individuo che ha agito da solo
e quindi non fa parte di una cellula, non fa parte di una rete. Vediamo, quindi, anche
un grande cambiamento dagli attentati di Londra, dagli attentati di Madrid, dove invece
esisteva una rete, anche se piccola però c’era. D. – Diventa
sempre più difficile a questo punto, ad un livello di intelligence, individuare eventuali
“cani sciolti”? R. – Ecco, questo è il problema maggiore. La
grande difficoltà dell’antiterrorismo, in questa fase di ennesima trasformazione del
terrorismo di matrice islamica. Direi che c'è proprio l’impossibilità di penetrare
reti sociali, dove un individuo – appunto un “cane sciolto” – può attivarsi indipendentemente
da quello che succede nel mondo.