Lavoro, istruzione, assistenza sociale e sanitaria, per migliorare le condizioni delle
madri nel mondo: lo dicono i dossier di Save the Children presentati a Roma
Circa nove milioni di bambini muoiono ogni anno nel mondo per cause facilmente evitabili,
infezioni e malattie di lieve gravità, e oltre 350 mila donne, fra cui 70 mila minorenni,
non superano il parto o muoiono per complicazioni nella gravidanza. Lo afferma l’11.mo
Rapporto annuale su “Lo stato delle madri nel mondo” e il nuovo rapporto su “Le condizioni
di povertà tra le madri in Italia” presentati nei giorni scorsi a Roma da Save the
Children. I dossier evidenziano l’urgenza di politiche a sostegno della maternità
e dell’infanzia. Ma in quali condizioni vivono madri e figli nel resto del mondo?
Claudia Di Lorenzi lo ha chiesto a Valerio Neri, direttore generale
per l’Italia di Save the Children:
R. – Purtroppo,
di anno in anno, vediamo approfondirsi la forbice tra i Paesi meglio posizionati e
i Paesi più poveri. I Paesi migliori del mondo, sotto questo aspetto, sono il Nord
Europa ma anche l’Australia, mentre i Paesi che stanno veramente peggio sono lo Yemen,
la Guinea Bissau, il Ciad, il Niger e l’Afghanistan, forse il Paese con il più alto
tasso di mortalità infantile. D. – Guardando all’Occidente, qual è la condizione
di madri e bambini?
R. – Il mondo ricco mostra delle
grandi differenze non tanto sulla salute dei bambini, dove il sistema sanitario è
efficiente e raggiungiamo dei livelli di assoluta eccellenza come l’Italia e la Svezia,
bensì a livello di possibilità sociali e di emancipazione in generale della donna.
I Paesi nordeuropei - ma anche l’Australia - stanno assai meglio dell’Italia. Le nostre
donne hanno meno garanzie sociali: cinque mesi per la maternità, quando nel Nord Europa
si supera tranquillamente l’anno: ci sono molti meno servizi sociali, le donne studiano
proporzionalmente di meno.
D. – Quali sono, invece,
le condizioni di povertà tra le mamme italiane?
R.
– La povertà in Italia sta aumentando. Sono due milioni e 700 mila in povertà relativa.
Abbiamo fatto uno studio, insieme all’Anci, all’aumentare del numero dei figli queste
famiglie rischiano di andare dalla povertà relativa ad una povertà assoluta. Al sud
Italia le famiglie non sono più libere di avere figli, perché non possono poi garantire
il meglio delle loro possibilità ai figli.
D. –
Cosa fare per offrire maggiori garanzie sociali?
R.
– Bisogna investire più in assistenza sociale. Nel Patto di stabilità, che i governi
si sono dati all’interno del sistema europeo, non dovrebbero entrare le spese sociali.
La spesa di aiuto sociale è una spesa fondamentale per il futuro delle nazioni e dei
popoli. Oggi, la spesa sociale di certe regioni, soprattutto nel sud di Italia, è
veramente a livello del Terzo Mondo.
D. – E sul fronte
delle politiche lavorative?
R. – Le donne del nord
Europa, per esempio, sono incentivate ad avere più figli e ad avere nel caso di oltre
tre figli anche facilmente il "part-time". C’è tutta una legislazione che facilita
questo. In Italia non è così: molte madri sono ancora precarie e non parliamo poi
della difficoltà di ottenere il part-time oppure il lavoro a casa. Noi dovremmo aiutare
le madri a lavorare, rispettando il loro essere madri.
D.
– A che punto siamo rispetto agli obiettivi del Millennio fissati dalle Nazioni Unite?
R.
– Gli obiettivi del Millennio che riguardano il problema sono il quarto e il quinto
e cioè la mortalità infantile e la mortalità delle madri. Purtroppo arriverà il 2015
e gli indicatori non saranno stati raggiunti. Il prossimo luglio in Canada ci sarà
un G8 che, quest’anno, ha messo in agenda la salute materno-infantile. Auspichiamo
una sollecitazione ad una maggiore velocità per raggiungere gli obiettivi.