Thailandia, più vicini governo e "camicie rosse" sulla proposta di voto anticipato.
L'opinione di Stefano Vecchia
Spiragli di normalizzazione in Thailandia dopo oltre due mesi di crisi politica e
istituzionale, costata la vita a 27 persone. Nella serata di ieri, il premier Abhisit
Vejjajiva ha lanciato la proposta di elezioni anticipate il prossimo 14 novembre e
un percorso di riconciliazione nazionale che include parzialmente le richieste dell’opposizione.
Le cosiddette "camicie rosse" – i membri dell’ Fronte Unito per la democrazia
e contro la dittatura, che fanno riferimento all’ex premier Thaksin Shinawatra, oggi
in esilio – hanno preso in considerazione la proposta e lo stesso Shinawatra
ha dichiarato di considerare positivo il piano di riconciliazione nazionale proposto
dal premier. Sulla situazione nel Paese asiatico, l'opinione di Stefano Vecchia,
giornalista esperto dell’area, raggiunto telefonicamente a Bangkok da Stefano Leszczynski:
R. – Il segnale
di apertura forte è venuto ieri sera col discorso in televisione del primo ministro
Abhisit Vejjajiva, che ha indicato la data del 14 novembre per le possibili
elezioni. Quindi, una data precedente a quella inizialmente propostagli dalle “camicie
rosse”, che inoltre chiedevano le sue dimissioni immediate. Il premier ha anche indicato
un percorso – in cinque punti – per arrivare a quest’appuntamento elettorale. Un percorso
che punta molto su una revisione dell’intero sistema-Paese, con un riconoscimento
delle povertà e delle divisioni che ci sono in Thailandia e, quindi, con azioni incisive
in modo che si avvii un cambiamento concreto e senza destabilizzare l’intero sistema.
D. – Un peso per misurare l’importanza e la rilevanza
della Thailandia in Asia è dato anche dall’andamento degli indici economici che, dopo
questi primi segnali, hanno già ripreso una certa positività…
R.
– Sì, indubbiamente. Noi stiamo parlando della seconda economia dell’Asia sudorientale,
dopo l’Indonesia. E’ un Paese che non solo ha grandi potenzialità, ma è anche un Paese
che è sempre stato visto dagli investitori stranieri come molto stabile. Oggi, la
Borsa è salita di oltre tre punti percentuali e mostra di voler credere alla fine
di uno stato di tensione, che è costato parecchio alla Thailandia in termini economici
e i cui effetti sul turismo e sugli investimenti stranieri avranno ricadute anche
sul prossimo futuro.
D. – Colpisce il fatto che,
nonostante la grande importanza economica della Thailandia, in questa crisi non vi
sia vista, almeno in maniera particolarmente evidente, una forte mediazione internazionale,
un tentativo di mediazione da parte dell’esterno. E’ effettivamente così?
R.
– Sì, diciamo che è anche così. Va tenuta però presente la forte impronta nazionalistica
di questo Paese e in particolare del suo establishment, che ha rifiutato fin
dall’inizio una qualunque forma – fra virgolette – di intrusione esterna, posizione
che è stata nuovamente ribadita dal ministro degli Esteri tre giorni fa.
D.
– Come si vive questo contrasto tra quello che succedeva qualche settimana fa e quella
che è la situazione di oggi a Bangkok?
R. – Si vive
con relativa calma e in attesa di una risposta dei leader. Le barricate sono, però,
sempre alzate: le “camicie rosse” sono sempre pronte in qualsiasi momento a tornare
a difendere quelli che ritengono essere i propri diritti. Di fatto, per loro è stata
la prima occasione vera e forte per dimostrare l’esistenza al mondo di un’altra Thailandia:
quella molto meno scintillante delle vetrine, dei grandi centri commerciali o dei
locali di divertimento.