Le iniziative culturali promosse dalla Provincia italiana dei Gesuiti per ricordare
i 470 anni di fondazione dell'Ordine e il IV centenario della morte di Matteo Ricci
Si è svolta ieri a Roma, presso il Centro Astalli, la conferenza stampa di presentazione
dell’iniziativa “Gesuiti a Roma. Inattese connessioni. Viaggio nel cuore della Compagnia”.
Si tratta di un programma di incontri culturali ospitati nel complesso architettonico
della chiesa e delle case della Compagnia di Gesù, dedicato in particolare a padre
Matteo Ricci, di cui si celebra il IV centenario della morte, e a fratel Andrea Pozzo.
Da sempre, l’impegno della Compagnia di Gesù è quello ci creare delle connessioni
tra il territorio locale della città di Roma e l’attività svolta dai Gesuiti, basata
sulla giustizia e sulla solidarietà. Al microfono di Lucia Tondi, il padre
gesuitaMichael Czerny spiega come la relazione con la persona che soffre
apra scenari e sfide che vanno al di là del bisogno e ci pongono di fronte ai nostri
stessi limiti.
R. – Oggi,
con tutte le tensioni e le difficoltà della vita, stiamo perdendo l’idea di ospitalità.
Non è facile aprire la porta all’altro. Così il nostro vuol essere un bel gesto, che
non è soltanto turistico, artistico, ma anche di grande spiritualità e attualità.
D.
– In che modo, quindi, la Compagnia di Gesù stabilisce delle connessioni con il territorio
locale di Roma, facendo una particolare attenzione a quelli che sono gli invisibili
della società?
R. – Cominciamo qui al Centro Astalli,
dove vengono accolti coloro che non hanno la casa, che non hanno niente e che cercano
una prima possibilità di inserimento nella società. Aprire la porta, cominciando con
colui che chiede asilo, è un simbolo di ciò che vuol dire questa connessione con il
territorio.
D. – Oggi, la globalizzazione ha abbattuto
le distanze. Ma a volte, stabilire una connessione con il nostro vicino rimane ancora
una dura sfida...
R. – La globalizzazione ha vinto
le distanze di spazio e di tempo, ma non la distanza di cuore e di anima. Di fatto,
la distanza tra cuore e anima è sempre più grande. Abbiamo più paura: abbiamo paura
della persona vicina e della persona lontana. Così, la globalizzazione comporta anche
una grande dispersione. Per questo vogliamo aprire le porte ed avere una connessione
reale tra le persone e non soltanto tra punti.
D.
– Quali sono le difficoltà di una sfida missionaria, per poter stabilire una connessione
con il diverso?
R. – Trovare nell’altro le domande,
i bisogni e i desideri che corrispondono alle ricchezze della tradizione, alle ricchezze
della Bibbia e della vita cristiana, che abbiamo ereditato in tanti secoli.
D.
– Quindi, la differenza deve essere intesa come una complementarietà, come una ricchezza
e non come una competizione?
R. – Questa terribile
conflittualità, che abbiamo in tutti campi va superata nella semplicità, nell'umiltà
e nell'apertura all’altro e a Dio, che ci chiama tutti ad essere fratelli e sorelle
e non nemici.