Mons. Celli sui comunicatori della Chiesa: il Papa ci invita ad essere chiari e trasparenti
Essere chiari, precisi, trasparenti e con carità a servizio della verità: sono queste
le caratteristiche che devono avere i comunicatori della Chiesa. Lo ha sottolineato
ieri pomeriggio a Roma, alla Pontificia Università della Santa Croce, mons. Claudio
Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali,
invitato a concludere l’incontro internazionale dei portavoce della Chiesa sul tema
“Mostrare un’identità chiara e definita è un punto di forza comunicativo”. Fra i temi
discussi la relazione fra identità e dialogo. Tiziana Campisi ha chiesto a
mons. Celli come far funzionare questo binomio nella Chiesa:
R. – Credo
che la Chiesa in questo momento non facile debba avere una chiara consapevolezza di
ciò che siamo. Quindi, oltre una provata professionalità ci vuole anche una chiara
e precisa identità. Vale a dire che dobbiamo sapere che cosa portiamo nel cuore: quindi,
non infingimenti non camuffamenti ma una chiarezza a tutta prova di ciò che siamo.
Bisogna creare una cultura di dialogo, di rispetto e anche di amicizia. Un buon comunicatore
non solamente deve avere chiarezza dottrinale e alta professionalità ma deve anche
entrare in sintonia con la sua comunità, la sua Chiesa, perché a volte la tentazione
è quella della difesa. Abbiamo molto da imparare ancora. D.
– Non sempre nella Chiesa c’è una comunicazione concorde. In che modo può emergere
allora un’identità chiara e definita?
R. – Dobbiamo
migliorare le forme di coordinamento tra di noi. Anche in questo momento così doloroso
non sempre abbiamo fatto riferimento a una strategia comunicativa, credo che in ogni
situazione abbiamo sempre qualcosa da imparare. C’è una grande volontà di servire
la verità. Non siamo patrocinatori del nascondimento o del nascondere qualche cosa.
Credo che anche nella sua ultima Lettera alla Chiesa in Irlanda, toccando quel tema
così delicato e fonte di tanta sofferenza, il Papa ci invita a essere precisi, chiari,
trasparenti. Credo che qui dobbiamo camminare un poco tutti insieme e credo che ancora
una volta la rete ci aiuti a esprimere ancora di più una vera e più profonda comunione
ecclesiale. Non siamo isolati gli uni dagli altri e quindi c’è bisogno di un migliore
coordinamento, di un sentire e comprendere l’altro, anche all’interno della Chiesa
e nel mondo della comunicazione. Credo che, quindi, questi momenti così difficili
ci hanno aiutato a capire ancora di più che abbiamo bisogno l’uno dell’altro e che
oggigiorno quando si affronta il mondo della comunicazione - basti pensare che un
episodio in un settore del mondo nel giro di poche ore è conosciuto a livello mondiale
- questo ci deve aiutare a capire come questa nostra operatività comunicativa debba
essere coordinata, dobbiamo creare delle sinergie per essere annunciatori sereni,
obiettivi. Chi opera nei media deve sapere che è a servizio della verità e chi è a
servizio della verità sa che non può nascondere, deve essere trasparente sa che è
un servitore dell’uomo. Credo che anche nella Chiesa debba sempre più prevalere una
cultura di trasparenza e non di nascondimento, anche se alle volte questo ci costa.
Ma la verità è momento di crescita per tutti noi, una verità - come ci ricorda anche
il Papa con la sua ultima Enciclica - che va vissuta nella carità, come è vero che
non esiste vera carità, vero amore, che non abbia una profonda connessione con la
verità.
D. – Dunque, per lei oggi è necessaria una
formazione alla comunicazione nella Chiesa? Cosa sta facendo il Pontificio Consiglio
da lei guidato?
R. – Il Pontificio Consiglio deve
ricordare che questa è una esigenza profonda. Noi siamo chiamati ad animare, a sostenere,
a promuovere. Dobbiamo aiutare a capire sempre più cosa significa comunicare e cosa
significa comunicare nella Chiesa. Credo che il Pontifico Consiglio in questi anni
sia sempre più coinvolto ad aiutare e a riflettere e siamo coinvolti a tutto tondo
a far sì che questo messaggio così preciso anche del Papa diventi realtà nel tessuto
ecclesiale.