Sudan: Al Bashir rieletto presidente. Oltre 50 morti in scontri
In Sudan. Il presidente uscente Omar al Bashir ha vinto le elezioni, le prime consultazioni
multipartitiche nel Paese africano dopo 24 anni. Ad annunciare i risultati del voto,
svoltosi dal 11 al 15 aprile scorso nella confusione e tra le numerose denunce di
irregolarità, è la commissione elettorale sudanese. Intanto dall’Unione Europea, giunge
il sostegno alla Corte penale internazionale che accusa il neoeletto al Bashir di
crimini di guerra e contro l'umanità. Linda Giannattasio: Dal
Paese però giunge notizia anche di episodi di violenza. Oltre 50 persone sono rimaste
uccise in combattimenti tra i miliziani dell’Spla, l’Esercito di Liberazione del Popolo
Sudanese, che in base agli ultimi accordi controlla il sud del Paese, regione semiautonoma,
e nomadi arabi del Darfur, la martoriata regione occidentale. Gli scontri sono avvenuti
nella zona al confine tra i due territori. Gli episodi risalgono a venerdì scorso,
ma solo ieri ne è stata data notizia. Sulle motivazioni di quanto avvenuto, Giancarlo
La Vella ha intervistato Enrico Casale, esperto di Africa della rivista
Popoli:
R. – Il
Sudan è uno Stato molto complesso, nel quale si confrontano la cultura araba e musulmana
del nord, con la cultura cristiano animista e africana del sud. A questo confronto
si aggiunge anche quello tra le popolazioni di allevatori di bestiame e le popolazioni
contadine. Gli scontri che si sono verificati in questi giorni sono da inserire in
questa dinamica: per la gestione delle risorse idriche e per la gestione degli allevamenti.
Questo prescinde dal fatto che, per la regione occidentale del Darfur, ci siano buoni
passi avanti nel processo di pace e prescinde anche dal fatto che le elezioni presidenziali
si siano svolte in un clima di sostanziale concordia e di pace. D.
– Come a dire che per pianificare, per stabilizzare ulteriormente la situazione, occorre
qualcosa in più che non un trattato di pace: è importante cioè che vi sia una divisione
delle risorse... R. – Una pace solo politica, senza un accordo
che vada in profondità nella gestione delle risorse, sarà un accordo che non porta
a niente. Le risorse sono tante. Innanzitutto le risorse petrolifere, che possono
essere ripartite tra il nord e il sud. Poi, le risorse idriche, importantissime: il
sud è ricco di acqua, il nord no. La gestione quindi delle risorse idriche ed anche
una buona gestione delle acque del Nilo, che attraversa tutto il Paese. E poi una
gestione ottimale dei pascoli, che sono sempre di meno di fronte all’avanzata del
deserto, che, in questi ultimi anni, purtroppo, ha preso sempre più spazio alle coltivazioni,
da una parte, e ai terreni di pascolo, dall’altra. D. – La pace
sicuramente passa attraverso questi ulteriori aspetti. C’è consapevolezza di questo? R.
– So che la classe politica sudanese, come la classe politica di molti Paesi africani,
ma non solo africani, gioca molto sulle distinzioni etniche, e poi sulla gestione
delle risorse. Quindi, il tutto passa da una presa di coscienza del fatto che queste
risorse vadano ben gestite e che non si possa soffiare sull’elemento etnico per risolvere
i problemi.