Convegno del Movimento parrocchiale legato alla spiritualità dei Focolari
Secondo quali iniziative e in quali modalità la parrocchia oggi può essere testimone
dell’amore di Dio. Su questo tema si sono confrontati nei giorni scorsi a Castel Gandolfo
1544 partecipanti al Convegno del Movimento parrocchiale e diocesano che si ispira
alla spiritualità dei Focolari.”Benedetto XVI”- hanno detto gli organizzatori- “invita
ad annunciare a tutti che Dio ci ama, se questa diventa la scintilla ispiratrice anche
delle nostre comunità, avremo una chance in più nella vita della gente”. Ma come nel
concreto può avvenire la testimonianza di Dio-amore? Sentiamo al microfono di Gabriella
Ceraso l’esperienza di don Carlo Malavasi:
R. – Io provengo
da una realtà – Carpi, Modena, Bologna – dove la frequenza in chiesa è molto bassa
e c’è una tradizione di ostilità in tempi passati, in questo momento molte persone
si sentono lontane non da Dio, ma piuttosto dalla Chiesa … Forse anche la Chiesa le
ha pensate un po’ lontane … Dobbiamo cambiare uno stato d’animo, un modo di pensare.
Non c’è una persona che sia lontana da Dio: alle persone che fanno questa affermazione
io dico: ma Dio ti ama immensamente, al di là di quello che fai e quello che sei.
Poi tento di darne una prova, per esempio: loro si sentono fuori e io mostro loro
che sono dentro, dico: ma tu, ami la tua famiglia, sei onesto nel lavoro, tu fai del
volontariato … Tutti mi rispondono di sì! E io dico: guarda, che tu vivi il Vangelo!
Rimangono stupiti e si sentono amati! Quante persone ho visto riallacciare il rapporto
proprio per questo mutamento di mentalità. D. – La parrocchia
nel 2010, in che cosa è cambiata secondo lei? R. – Alcuni atteggiamenti
sono da lasciare, alcuni atteggiamenti da assumere. Ad esempio, lasciare la concezione
interiore che le persone sono lontane, che le persone sono indifferenti, e invece
mettere la vicinanza, la prossimità, non voler convertire, che anche questa è una
cosa che crea riserve. Soltanto Dio entra nell’animo delle persone. Noi dobbiamo amare
e dobbiamo far vedere l’amore di Dio che c’è nella vita della gente, e dopo li invitiamo
a vivere il Vangelo nell’amore del prossimo, anche semplicemente; il ritorno ai sacramenti,
alla pratica religiosa dopo viene da sé! D. – Ci sono ripercussioni,
in ambiente parrocchiale, di questo momento delicato che sta vivendo la Chiesa, e
come lei li affronta? R. – Certamente, questa è un’ombra nella
Chiesa che coinvolge però una minoranza di sacerdoti, è un dolore che tutti portano
dentro; ma io sento che questo dolore può diventare un motivo per uno scatto, un’importante
purificazione. Questo dolore è un invito ad una vita più evangelica: noi queste cose
ce le diciamo, tra noi sacerdoti, ce le diciamo in parrocchia … D.
– Quali sono, secondo lei, le iniziative concrete che una parrocchia può portare avanti
per far arrivare l’amore di Dio nei contesti più difficili, più particolari? R.
– E’ una parrocchia che non chiama, ma va; inoltre, è una parrocchia che non chiede
ma piuttosto è una parrocchia che da attenzione e la gente dice che la nostra parrocchia
è una famiglia e che quel clima di amore, di attenzione l’uno all’altro non lo vivono
in fabbrica, a volte nemmeno nella stessa casa. E dicono: la parrocchia per noi adesso
è un punto di riferimento.