Il cardinale Bertone: ho portato in Cile la vicinanza del Papa ai terremotati.
Sugli abusi del clero, la linea di Benedetto XVI è chiara e ferma
Il Papa è vicino al popolo del Cile provato dal terremoto del 27 febbraio scorso:
è questo il messaggio più forte che il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone,
ha voluto portare nel suo viaggio nel Paese andino, dal 6 al 14 aprile. Una visita
che ha offerto al porporato l’opportunità di incontrare le diverse realtà della Chiesa
e della società cilena. Di ritorno dal Cile e alla vigilia della partenza per Malta
con Benedetto XVI, il cardinale Tarcisio Bertone ha offerto un bilancio del
suo viaggio alla Radio Vaticana e all’Osservatore Romano. L’intervista è stata realizzata
da Roberto Piermarini e Carlo Di Cicco:
R. - Ho portato
la vicinanza, la “cercanía” del Papa in tutti gli incontri che ho avuto in questo
lungo viaggio in Cile. Ma contemporaneamente, adulti, giovani, comunità di credenti,
autorità e popolo cileni mi hanno manifestato un grande amore per il Papa e mi hanno
detto di portargli il loro affetto, la preghiera, la riconoscenza, la piena solidarietà
per la sua missione, il suo magistero mite, coraggioso e convincente. Ho potuto constatare
purtroppo la gravità del sisma e del maremoto specialmente attorno Concepción e nel
centro della capitale Santiago. La prima impressione, veramente toccante, l’ho avuta
scendendo con l’aereo e vedendo il ponte crollato, rimasto interrotto a causa del
terremoto, per cui la difficoltà delle comunicazioni, le strade dissestate. Poi sono
andato in una zona duramente colpita, ancora piena di macerie come Talcahuano,dove abbiamo inaugurato una cappella in segno della volontà di ricostruzione.
Lì c’è una popolazione molto povera e provata, che chiedeva l’aiuto della preghiera
e manifestava il suo affetto al Papa. Ha inaugurato direi con orgoglio la cappella
perché voleva un luogo di preghiera, un luogo di incontro come una delle prime realizzazioni,
dopo le distruzioni del terremoto. Questo è un segno molto positivo. D.
- Lei ha incontrato le nuove autorità cilene insediatesi da poco. Il rapporto di rispetto
fra Stato e Chiesa, ma anche di collaborazione continuerà e quali sono sfide e priorità
più importanti di questo rapporto? R. – E’ in atto una grande
partecipazione della Chiesa nella ricostruzione, un contributo capillare nell’assistenza
alle popolazioni colpite attraverso la Caritas cilena, la Caritas Internationalis
e molte altre istituzioni, come le Conferenze episcopali, per esempio la Conferenza
episcopale italiana, si sono messe naturalmente a disposizione per gli aiuti, con
la volontà di curare la realizzazione di progetti specifici di ricostruzione. Quindi,
il problema ricostruzione è emerso immediatamente. Naturalmente non abbiamo mancato
di toccare quei principi fondamentali che stanno a cuore alla Chiesa cattolica e anche
alla presidenza cilena, cioè il principio della tutela della vita, della tutela della
famiglia, nel suo progetto originale, la tutela anche del principio di libertà di
educazione. Il sistema educativo in Cile è bene organizzato e anche le scuole cattoliche
che sono convenzionate con lo Stato per il loro progetto educativo, sono molto stimate
e sono aiutate finanziariamente dallo Stato, a seconda anche del numero degli alunni,
perché rendono un servizio pubblico e godono del favore della popolazione. D.
- La sua conferenza sulla presenza della Chiesa e del cattolicesimo nel corso dei
due ultimi secoli, offerta nella cornice delle celebrazioni del bicentenario, ha avuto
una vasta eco sulla stampa latinoamericana. I latinoamericani – in questo caso, i
cileni – come sentono e vivono questo legame, questa presenza? R.
- La presenza della Chiesa è molto sentita in tutta la storia dell’America Latina,
e soprattutto nella storia del Cile; adesso, in questo momento storico, la presenza
della Chiesa è stata vista subito come una presenza fraterna e materna nella gravità
delle circostanze vissute dalla popolazione. Però, nella storia del Cile, fin dagli
inizi, nella lotta per l’indipendenza, sono stati protagonisti uomini di grande fede
e uomini di Chiesa. Dicono: “La Chiesa ha svolto un ruolo molto importante anche per
la conquista dell’indipendenza e per la costruzione del giovane Stato cileno”. Non
bisogna poi dimenticare che il Cile è stato il primo Paese dell’America Latina che
ha mandato una missione a Roma e che ha chiesto una missione diplomatica da Roma in
Cile. D. - Ricordando la mediazione papale tra Cile e Argentina,
lei ha posto in rilievo l’efficacia del dialogo per mantenere la pace tra gli Stati.
E’ un esempio tuttora attuale per conflitti internazionali che durano nel tempo? R.
- E’ un esempio straordinario, perché come tutti sanno e come è stato ribadito anche
nella celebrazione del 25.mo, si era giunti sull’orlo della guerra e di una guerra
che sarebbe stata devastante per i due Paesi. La guerra è stata evitata – si può dire
– all’ultimo, proprio per la mediazione della Chiesa. In situazioni di contrasti tra
popoli, molte volte la Chiesa – ho citato anche alcune mediazioni in Africa, durante
il primo Sinodo africano – è invitata proprio a mediare tra le fazioni contrapposte
e concorrenti, magari all’interno di un medesimo Stato. Però, perché questa mediazione
abbia efficacia, è necessaria la scelta di uomini coraggiosi e illuminati da parte
della Chiesa – ricordiamo solo il cardinale Samorè ed i suoi collaboratori – ma anche
da parte degli Stati, perché le delegazioni devono anche essere convinte della possibilità
di raggiungere dei risultati e non contrapporre muro contro muro. In ogni caso è
il dialogo che vince, come diceva Paolo VI: non ci sono altre vie, perché vediamo
che le altre vie – la via delle armi, la via delle contrapposizioni - non producono
frutti. D. - Lei ha toccato anche il tema dei giovani e della
pastorale giovanile. E’ stato sollecitato anche dal fatto che la diminuzione delle
vocazioni sacerdotali e il problema della formazione di giovani leader politici possa
interessare le Chiese dell’America Latina? R. - Senza dubbio.
L’America Latina è un continente giovane, è un continente dove la popolazione giovanile
– anche la popolazione minorile – è maggioritaria, e quindi c’è un problema di preparare,
di educare all’assunzione di una missione, di un ruolo nella società, oltre che formare
solide personalità, fondate su valori profondi umani e cristiani. In America Latina
c’era nei decenni passati ad un boom di vocazioni, ci sono ancora Paesi che certamente
possono vantare tante vocazioni allo stato sacerdotale, pensiamo al Messico. Però,
in Cile la scarsità di vocazioni si fa sentire anche nelle congregazioni religiose:
quindi è un problema reale. Bisogna quindi formare i giovani a questa assunzione di
responsabilità sociale, sia nella dedizione e nella risposta a Cristo che chiama a
partecipare alla sua missione di salvezza, sia nella responsabilità nelle congregazioni
religiose, negli istituti di vita consacrata con il lavoro stupendo che fanno i diversi
istituti di vita consacrata, e sia nella vita sociale, quindi nella preparazione a
svolgere compiti di natura specificamente politica. E ho visto che i giovani rispondono. D.
- C’è un problema che non riguarda la Chiesa cilena in particolare, ma un po’ la Chiesa
universale, in questo momento: secondo lei, la Chiesa come uscirà dal delicato problema
degli abusi sessuali del clero? R. - Mi sembra che in questi
giorni, il Papa ci abbia dato una linea molto chiara, una linea di approfondimento
dei comportamenti e di grande impegno di fedeltà a Cristo, di lealtà nella propria
missione, a seconda della vocazione di ciascuno. Mi sembra che la prima indicazione
che il Papa ha confermato ancora nella Cappella Paolina, parlando ai membri della
Pontificia Commissione biblica, è quella della purificazione e della penitenza, per
assumere con decisione la propria missione secondo il progetto di Dio. La seconda
linea è un coraggioso e forte impegno educativo, perché questo è il campo in cui si
formano i fanciulli, i giovani, i formatori e quindi qui bisogna dare dei valori che
siano la linfa della vita, dei comportamenti dei giovani e di coloro che si occupano
dei giovani. L’impegno educativo, che è sempre stato un vanto per la Chiesa, nella
storia della Chiesa, e che in Cile ha avuto grandi protagonisti come il Santo sociale
Alberto Hurtado, che ha scritto tanto sui problemi educativi, ha fondato una rivista,
ha fondato i sindacati cristiani, è una pista da percorrere con serietà, con solidità
in modo da costruire le personalità del terzo millennio, forgiate sulla legge evangelica.
E poi, la terza linea – siamo alla fine dell’Anno Sacerdotale – il rinnovamento della
missione sacerdotale. Secondo il progetto di Cristo, che è modello di ogni sacerdote,
e secondo i grandi messaggi che il Papa ha dato in questo Anno Sacerdotale. Nell’incontro
con i sacerdoti e anche nell’incontro con l’episcopato del Cile, mi chiedevano: come
fare a continuare a prendere gli elementi migliori dell’Anno Sacerdotale e portarli
nella vita, in modo che non si chiuda un ciclo con la chiusura dell’Anno Sacerdotale?
E questo è proprio l’impegno in cui tutti dobbiamo essere coinvolti, soprattutto per
ciò che riguarda i candidati al sacerdozio e i sacerdoti, conformemente alla loro
missione.