2010-04-17 14:55:59

Il cardinale Bertone: ho portato in Cile la vicinanza del Papa ai terremotati. Sugli abusi del clero, la linea di Benedetto XVI è chiara e ferma


Il Papa è vicino al popolo del Cile provato dal terremoto del 27 febbraio scorso: è questo il messaggio più forte che il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha voluto portare nel suo viaggio nel Paese andino, dal 6 al 14 aprile. Una visita che ha offerto al porporato l’opportunità di incontrare le diverse realtà della Chiesa e della società cilena. Di ritorno dal Cile e alla vigilia della partenza per Malta con Benedetto XVI, il cardinale Tarcisio Bertone ha offerto un bilancio del suo viaggio alla Radio Vaticana e all’Osservatore Romano. L’intervista è stata realizzata da Roberto Piermarini e Carlo Di Cicco:RealAudioMP3

R. - Ho portato la vicinanza, la “cercanía” del Papa in tutti gli incontri che ho avuto in questo lungo viaggio in Cile. Ma contemporaneamente, adulti, giovani, comunità di credenti, autorità e popolo cileni mi hanno manifestato un grande amore per il Papa e mi hanno detto di portargli il loro affetto, la preghiera, la riconoscenza, la piena solidarietà per la sua missione, il suo magistero mite, coraggioso e convincente. Ho potuto constatare purtroppo la gravità del sisma e del maremoto specialmente attorno Concepción e nel centro della capitale Santiago. La prima impressione, veramente toccante, l’ho avuta scendendo con l’aereo e vedendo il ponte crollato, rimasto interrotto a causa del terremoto, per cui la difficoltà delle comunicazioni, le strade dissestate. Poi sono andato in una zona duramente colpita, ancora piena di macerie come Talcahuano, dove abbiamo inaugurato una cappella in segno della volontà di ricostruzione. Lì c’è una popolazione molto povera e provata, che chiedeva l’aiuto della preghiera e manifestava il suo affetto al Papa. Ha inaugurato direi con orgoglio la cappella perché voleva un luogo di preghiera, un luogo di incontro come una delle prime realizzazioni, dopo le distruzioni del terremoto. Questo è un segno molto positivo.
 
D. - Lei ha incontrato le nuove autorità cilene insediatesi da poco. Il rapporto di rispetto fra Stato e Chiesa, ma anche di collaborazione continuerà e quali sono sfide e priorità più importanti di questo rapporto?
 
R. – E’ in atto una grande partecipazione della Chiesa nella ricostruzione, un contributo capillare nell’assistenza alle popolazioni colpite attraverso la Caritas cilena, la Caritas Internationalis e molte altre istituzioni, come le Conferenze episcopali, per esempio la Conferenza episcopale italiana, si sono messe naturalmente a disposizione per gli aiuti, con la volontà di curare la realizzazione di progetti specifici di ricostruzione. Quindi, il problema ricostruzione è emerso immediatamente. Naturalmente non abbiamo mancato di toccare quei principi fondamentali che stanno a cuore alla Chiesa cattolica e anche alla presidenza cilena, cioè il principio della tutela della vita, della tutela della famiglia, nel suo progetto originale, la tutela anche del principio di libertà di educazione. Il sistema educativo in Cile è bene organizzato e anche le scuole cattoliche che sono convenzionate con lo Stato per il loro progetto educativo, sono molto stimate e sono aiutate finanziariamente dallo Stato, a seconda anche del numero degli alunni, perché rendono un servizio pubblico e godono del favore della popolazione.
 
D. - La sua conferenza sulla presenza della Chiesa e del cattolicesimo nel corso dei due ultimi secoli, offerta nella cornice delle celebrazioni del bicentenario, ha avuto una vasta eco sulla stampa latinoamericana. I latinoamericani – in questo caso, i cileni – come sentono e vivono questo legame, questa presenza?
 
R. - La presenza della Chiesa è molto sentita in tutta la storia dell’America Latina, e soprattutto nella storia del Cile; adesso, in questo momento storico, la presenza della Chiesa è stata vista subito come una presenza fraterna e materna nella gravità delle circostanze vissute dalla popolazione. Però, nella storia del Cile, fin dagli inizi, nella lotta per l’indipendenza, sono stati protagonisti uomini di grande fede e uomini di Chiesa. Dicono: “La Chiesa ha svolto un ruolo molto importante anche per la conquista dell’indipendenza e per la costruzione del giovane Stato cileno”. Non bisogna poi dimenticare che il Cile è stato il primo Paese dell’America Latina che ha mandato una missione a Roma e che ha chiesto una missione diplomatica da Roma in Cile.
 
D. - Ricordando la mediazione papale tra Cile e Argentina, lei ha posto in rilievo l’efficacia del dialogo per mantenere la pace tra gli Stati. E’ un esempio tuttora attuale per conflitti internazionali che durano nel tempo?
 
R. - E’ un esempio straordinario, perché come tutti sanno e come è stato ribadito anche nella celebrazione del 25.mo, si era giunti sull’orlo della guerra e di una guerra che sarebbe stata devastante per i due Paesi. La guerra è stata evitata – si può dire – all’ultimo, proprio per la mediazione della Chiesa. In situazioni di contrasti tra popoli, molte volte la Chiesa – ho citato anche alcune mediazioni in Africa, durante il primo Sinodo africano – è invitata proprio a mediare tra le fazioni contrapposte e concorrenti, magari all’interno di un medesimo Stato. Però, perché questa mediazione abbia efficacia, è necessaria la scelta di uomini coraggiosi e illuminati da parte della Chiesa – ricordiamo solo il cardinale Samorè ed i suoi collaboratori – ma anche da parte degli Stati, perché le delegazioni devono anche essere convinte della possibilità di raggiungere dei risultati e non contrapporre muro contro muro. In ogni caso è il dialogo che vince, come diceva Paolo VI: non ci sono altre vie, perché vediamo che le altre vie – la via delle armi, la via delle contrapposizioni - non producono frutti.
 
D. - Lei ha toccato anche il tema dei giovani e della pastorale giovanile. E’ stato sollecitato anche dal fatto che la diminuzione delle vocazioni sacerdotali e il problema della formazione di giovani leader politici possa interessare le Chiese dell’America Latina?
 
R. - Senza dubbio. L’America Latina è un continente giovane, è un continente dove la popolazione giovanile – anche la popolazione minorile – è maggioritaria, e quindi c’è un problema di preparare, di educare all’assunzione di una missione, di un ruolo nella società, oltre che formare solide personalità, fondate su valori profondi umani e cristiani. In America Latina c’era nei decenni passati ad un boom di vocazioni, ci sono ancora Paesi che certamente possono vantare tante vocazioni allo stato sacerdotale, pensiamo al Messico. Però, in Cile la scarsità di vocazioni si fa sentire anche nelle congregazioni religiose: quindi è un problema reale. Bisogna quindi formare i giovani a questa assunzione di responsabilità sociale, sia nella dedizione e nella risposta a Cristo che chiama a partecipare alla sua missione di salvezza, sia nella responsabilità nelle congregazioni religiose, negli istituti di vita consacrata con il lavoro stupendo che fanno i diversi istituti di vita consacrata, e sia nella vita sociale, quindi nella preparazione a svolgere compiti di natura specificamente politica. E ho visto che i giovani rispondono.
 
D. - C’è un problema che non riguarda la Chiesa cilena in particolare, ma un po’ la Chiesa universale, in questo momento: secondo lei, la Chiesa come uscirà dal delicato problema degli abusi sessuali del clero?
 
R. - Mi sembra che in questi giorni, il Papa ci abbia dato una linea molto chiara, una linea di approfondimento dei comportamenti e di grande impegno di fedeltà a Cristo, di lealtà nella propria missione, a seconda della vocazione di ciascuno. Mi sembra che la prima indicazione che il Papa ha confermato ancora nella Cappella Paolina, parlando ai membri della Pontificia Commissione biblica, è quella della purificazione e della penitenza, per assumere con decisione la propria missione secondo il progetto di Dio. La seconda linea è un coraggioso e forte impegno educativo, perché questo è il campo in cui si formano i fanciulli, i giovani, i formatori e quindi qui bisogna dare dei valori che siano la linfa della vita, dei comportamenti dei giovani e di coloro che si occupano dei giovani. L’impegno educativo, che è sempre stato un vanto per la Chiesa, nella storia della Chiesa, e che in Cile ha avuto grandi protagonisti come il Santo sociale Alberto Hurtado, che ha scritto tanto sui problemi educativi, ha fondato una rivista, ha fondato i sindacati cristiani, è una pista da percorrere con serietà, con solidità in modo da costruire le personalità del terzo millennio, forgiate sulla legge evangelica. E poi, la terza linea – siamo alla fine dell’Anno Sacerdotale – il rinnovamento della missione sacerdotale. Secondo il progetto di Cristo, che è modello di ogni sacerdote, e secondo i grandi messaggi che il Papa ha dato in questo Anno Sacerdotale. Nell’incontro con i sacerdoti e anche nell’incontro con l’episcopato del Cile, mi chiedevano: come fare a continuare a prendere gli elementi migliori dell’Anno Sacerdotale e portarli nella vita, in modo che non si chiuda un ciclo con la chiusura dell’Anno Sacerdotale? E questo è proprio l’impegno in cui tutti dobbiamo essere coinvolti, soprattutto per ciò che riguarda i candidati al sacerdozio e i sacerdoti, conformemente alla loro missione.







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