Aeroporti bloccati in Europa per l'eruzione del vulcano in Islanda
Per il secondo giorno consecutivo l’eruzione del vulcano nel sud dell’Islanda sta
rendendo insostenibile la situazione dei trasporti aerei in tutta Europa, con pesanti
ripercussioni negli aeroporti americani e del nord Africa. L’Eurocontrol prevede che
solo oggi saranno cancellati 17mila voli. Lo spazio aereo è stato infatti chiuso totalmente
o parzialmente in ben 16 Paesi del Vecchio Continente, in una fascia che va dall’Irlanda
ai Paesi baltici interessando diversi stati dell’Europa centrale, fra cui Germania
e Polonia. Ma quale è ora il timore maggiore? Debora Donnini lo ha chiesto
a Daniele Carrabba, direttore centrale coordinamento aeroporti dell'Enac:
R. – Il timore
maggiore è che la situazione possa durare ancora. Questo dipende purtroppo dall’eruzione
del vulcano, che è ancora in corso, dalle condizioni meteorologiche e quindi dai venti
che spirano in quota e che trasportano questa nube molto densa e molto alta, che sta
procurando questo problema a tutta l’aviazione civile in Europa.
D.
– Qual è il problema per gli aerei?
R. – Il problema
è che, essendo questa nuvola ad una quota, che è quella tipicamente utilizzata dagli
aeroplani in crociera, ha due grossi inconvenienti. Uno è quello della visibilità.
L’altro è ancora più grave: questa nube contiene all’interno diverse particelle che
sono molto corrosive e erosive per l'aereo e in particolare per i motori degli aeroplani.
Questa nube potrebbe procurare guasti e lo spegnimento dei motori.
D.
– In Italia, quali disagi ci sono o ci potrebbero essere?
R.
– In Italia i disagi sono collegati a tutti gli scali che sono stati chiusi, a partire
da Inghilterra, Francia, Svizzera, Belgio e Danimarca. Tutti gli aerei in provenianza
da quei Paesi o verso quelle destinazioni, chiaramente non partono.
D.
– Ma voi potete fare delle previsioni su quanto durerà questo problema?
R.
– Non è possibile fare previsioni. Dipende da quanto durerà l’attività del vulcano.
Se il vulcano non smette, è difficile fare ipotesi. In più, ripeto, c’è il discorso
di come si muove questa nube, che è molto estesa ed è molto spessa.
D.
– Che lei sappia, si è mai verificato prima un problema del genere, che ha portato
tanti disagi per gli aerei?
R. – No, in Europa mai.
Ricordo un caso, nelle Filippine, qualche anno fa.
Pakistan Almeno
10 persone sono morte per un attentato suicida nell’ospedale principale di Quetta,
nel sud ovest del Pakistan. Oltre 30 persone sono rimaste ferite, tra cui alcuni giornalisti
e un deputato locale. Altre sei persone sono state uccise in un attacco lanciato da
due droni statunitensi contro presunte basi di miliziani talebani nel Waziristan settentrionale.
Afghanistan I
tre operatori italiani di Emergency sono in buone condizioni di salute. Lo ha annunciato
stamattina il ministero degli Esteri, dopo che i medici della Ong, sotto fermo di
polizia, hanno incontrato l’ambasciatore italiano Iannucci in una struttura detentiva
a Kabul. Ieri il rappresentante speciale dell’Onu in Afghanistan, Staffan de Mistura,
aveva rivolto un appello al presidente Karzai e alle autorità di Kabul affinché gli
italiani di Emergency coinvolti nella vicenda di Lashkar-Gah ricevano “assistenza
legale” e, per loro, siano applicate le regole di un normale processo. Intanto la
missione Onu a Kabul ha reso noto che cinque dei suoi dipendenti afghani risultano
scomparsi e che sono in corso verifiche per stabilire cosa sia loro accaduto.
Cina In
Cina si aggrava il bilancio delle vittime a due giorni dal sisma che ha colpito la
provincia nord occidentale dello Qinghai. Fonti ufficiali parlano di 791 morti, 243
dispersi ed oltre 10 mila feriti, di cui circa mille in gravi condizioni. Intanto,
le proibitive condizioni meteo nell’altopiano tibetano creano non pochi problemi alla
macchina dei soccorsi. Il servizio di Marco Guerra:
Il
vento e le temperature gelide della notte lasciano poche possibilità a tanti superstiti
che aspettano i soccorritori sotto gli edifici crollati a Gyegu e dintorni, dove risiedono
circa 100.000 persone. Questo non ferma però le squadre di soccorso che ieri sono
state esortate dal premier, che si è recato sui luoghi del disastro dicendosi fiducioso
che si possano ancora trovare tante persone in vita. I sopravvissuti, intanto, hanno
vissuto la seconda notte al freddo nelle tendopoli di fortuna allestite dalle autorità.
I convogli con acqua, cibo, coperte e medicinali continuano ad attraversare la contea
di Yushu per raggiungere le località più colpite. Organizzazioni di volontariato e
media di Stato cinesi hanno lanciato una raccolta fondi, mentre inizia muoversi anche
la macchina della solidarietà internazionale. Particolarmente attivi i monaci tibetani.
L'Unicef si sta inoltre mobilitando per inviare i soccorsi urgenti per i bambini.
Le autorità locali hanno chiesto sostegno all’agenzia dell’Onu per fornire tende scuola
e kit scolastici dal momento che nella contea 80% delle scuole elementari e il 50%
di quelle secondarie risultano gravemente danneggiate, interessando oltre 22 mila
studenti.
Thailandia In Thailandia resta ancora
alta la tensione. Fallito il tentativo delle forze dell’ordine di arrestare i leader
delle camicie rosse, nascosti al “Park Hotel” di Bangkok. Uno dei più irriducibili
fedeli all’ex premier deposto Thaksin Shinawatra è scappato dall’albergo calandosi
con una fune. Il blitz deciso dal governo fa seguito ad una settimana di violenze
culminate negli scontri di sabato scorso in cui sono morte 24 persone e più di 850
sono rimaste ferite.
Kirghizistan Il presidente deposto del Kirghizistan,
Kurmanbek Bakiev, ha lasciato il Paese dopo aver rassegnato le dimissioni. E’ dunque
conclusa la violenta rivolta che ha portato l’opposizione alla guida del Paese, mentre
le tensioni sembrano ormai dissolte, grazie anche alla mediazione di Stati Uniti e
Russia. Intanto, il governo ad interim prolunga di un anno la concessione a Washington
della base logistica di Manas, fondamentale per i rifornimenti alle truppe in Afghanistan.
Su questa svolta politica nelle vicende della Repubblica ex sovietica, Giancarlo
La Vella ha raccolto il commento di Arduino Paniccia, docente di Studi
Strategici:
R. – Ritengo
che le dimensioni siano state – come dire – aiutate anche dall’ambiente generale e
riguardante soprattutto l’atteggiamento delle due superpotenze: la Federazione Russa
e gli Stati Uniti. Sin dall’origine della rivolta, si è potuto notare che la Federazione
Russa, in realtà, aveva già abbandonato Bakiev al suo destino; negli ultimi due giorni,
improvvisamente, anche gli Stati Uniti hanno cominciato a fiancheggiare il possibile
governo provvisorio. Le due potenze hanno trovato l’accordo e quindi Bakiev ha capito
che non aveva più alcuna possibilità di ritornare alla presidenza. Non correndo ulteriori
rischi, ha preferito sicuramente abbandonare.
D.
– Perché il nuovo governo avrebbe ricevuto il favore delle grandi potenze rispetto
a quello precedente?
R. – Vi era un problema di corruzione
e di rapporti ormai molto tesi con i russi e, per via della basa di Manas e per via
degli aiuti all’Afghanistan, in qualche modo anche con gli americani. Il presidente
non rispondeva più né alla situazione interna né ai rapporti esterni ed internazionali.
Una situazione logoratissima; al presidente non veniva più dato nessun affidamento
e non è quindi un caso che nelle ultime ore siano stati definiti nuovi prestiti al
Kirgizistan per oltre 50 milioni di dollari. Sembra che stia per essere definito anche
il nuovo affitto della base americana. Arrivano quindi finanziamenti e danari nella
nuova situazione, che negli ultimi anni erano completamente svaniti. Il Paese ne ha
assolutamente bisogno e questo è stato anche uno dei motivi per allontanare un presidente
che ormai sostanzialmente non serviva più a nessuno.
Nucleare Il
Brasile al fianco di India e Cina nel sostenere l’inefficacia delle sanzioni nei confronti
dell’Iran per il suo programma nucleare. A ribadire la posizione è stato il presidente
Lula, che ieri a Brasilia ha incontrato il suo omologo cinese Hu Jintao e il primo
ministro indiano Singh. Si è trattato solo di uno scambio di idee - ha fatto sapere
il ministero degli Esteri brasiliano – in cui Lula difeso la linea del negoziato chiedendo
a Teheran di mostrare flessibilità.
Gran Bretagna In Gran Bretagna
netta sconfitta del premier uscente Brown al primo dibattito in diretta tv della storia
britannica tra aspiranti primi ministri. Secondo i sondaggi, a vincere lo scontro
è stato il liberaldemocratico Glegg, che è arrivato al 43% del gradimento: alle sue
spalle il conservatore Cameron al 26% ed il laburista Brown al 20%. (Panoramica
internazionale a cura di Marco Guerra e Carla Ferraro)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 106 E'
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