Gaza: sempre più drammatiche le condizioni di vita
“Come si vive sotto assedio?”: se ne è parlato ieri sera in un incontro organizzato
a Milano dall’Ong "Terre Des Hommes", con testimoni e protagonisti che operano e vivono
a Gaza. Questa striscia di territorio, sottoposto da anni a privazioni e violenze
e isolato, per il blocco imposto da Israele, è abitato da un milione e mezzo di persone.
Tra loro, 6500 bambini assistiti dalla Ong, bambini che soffrono di malnutrizione
e che vivono in condizioni di costante paura. Sentiamo al microfono di Gabriella
Ceraso la testimonianza di Piera Redaelli, responsabile dei progetti di
"Terre des Hommes" in Palestina:
R. – La popolazione
di Gaza si sta abituando a vivere in condizioni assolutamente incredibili. Una delle
cose che più mi ha colpito, e che non avevo visto prima, sono le enormi vasche, delle
lagune, a cielo aperto di liquami e di fogna, dove spesso i bambini si bagnano e che
sono fonte certamente di malattie di ogni genere per la popolazione. Il Quartetto
per il Medio Oriente ha stanziato dei fondi per bonificare queste paludi; ma il materiale
non può essere utilizzato a causa del blocco della Striscia di Gaza. D.
– Altra immagine che racconta è quella dei famosi tunnel da cui entra tutto, certamente
armi, ma soprattutto entrano generi di sopravvivenza per la popolazione. Come concretamente
si va avanti ogni giorno? R. – La popolazione ora - proprio
in virtù di questi tunnel, sui quali molti speculano - trova quasi tutto al loro interno
a livello di generi alimentari, ma non può comprarselo! Il 40 per cento della popolazione
è disoccupato e l’80 per cento dipende dagli aiuti internazionali. Così vive la gente:
bevendo un’acqua imbevibile; cercando di ottenere permessi per uscire quando è malata;
mandando i propri figli nelle scuole dell’Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi,
perché sono le uniche per le quali è permesso importare materiale scolastico. D.
– Possibilità di lavoro: quali gli sbocchi? R. – Sempre meno:
i pescatori erano 45 mila, ma ora non possono più farlo. La Striscia è circondata
da un muro e tutte le zone vicine al muro, che erano le zone o dove si pascolava e
si allevava o dove c’erano le coltivazioni, sono diventate territori off limits. Ci
sono continue incursioni e sia l’operazione "Piombo fuso", sia le successive, hanno
colpito alcune strutture industriali. La popolazione di Gaza si sta trasformando in
una popolazione di rifugiati sul suo stesso territorio, privata delle risorse e dei
mezzi per lavorare. D. – Nel fine settimana scorso, c’è stato
un black out molto lungo nella Striscia e c’è chi dice che l’Anp dirotti altrove gli
stanziamenti destinati anche, ad esempio, alle forniture di elettricità. Voi che idea
vi siete fatti, anche della gestione di quello che è appunto energia, acqua, etc? R.
– Vengono permessi passaggi di combustibile, ma anche di molte altre cose fino ad
un certo punto. Le autorizzazioni poi diminuiscono e diminuiscono fino a raggiungere
un livello di crisi. Si mette allora in moto il sistema delle pressioni internazionali:
allora c’è un’apertura che dura qualche mese, ma poi si ricomincia. E’ così che si
va avanti, senza mai però tentare di risolvere il problema alla radice. D.
– Come si sblocca questa situazione? R. – Non si sblocca senza
una pressione internazionale seria sul governo israeliano.