Aperti da ieri in Sudan gli oltre 13 mila seggi elettorali per le prime elezioni multipartitiche
necessarie al rinnovo della presidenza della Repubblica, del Parlamento federale,
dei 24 governatorati e dei Parlamenti locali. Grande la confusione nella prima giornata
di voto e denunce di irregolarità da parte dei movimenti di opposizione, che hanno
esortato la popolazione al boicottaggio. Favoritissimo per la più alta carica dello
Stato il presidente in carica Omar Al Bashir, colpito da mandato di cattura internazionale
per il genocidio avvenuto in Darfur. Sull’importanza di queste elezioni, Giancarlo
La Vella ha sentito telefonicamente il giornalista Michele Luppi, esperto
di Africa:
R. – E’ un
momento importante, perché queste sono le prime elezioni libere e multipartitiche
nel Paese, dal 1986. Quindi, è una data che per molti sudanesi sarà storica, essendo
la prima volta che riescono ad andare ad esprimere il proprio voto. Da un lato, quella
di ieri è stata per molti sudanesi una giornata di festa, indipendentemente da quello
che sarà l’esito dell’elezione - per quanto riguarda l’elezione del presidente - soprattutto
perché viziata dal boicottaggio da parte dei principali rivali del presidente al Bashir,
che sembra avere ormai la strada spianata per la rielezione. Dall’altra parte, però,
bisogna notare come fin dall’apertura dei seggi si siano evidenziate delle carenze
strutturali e organizzative, che erano anche state più volte denunciate sia dai partiti
di opposizione che dagli osservatori internazionali. Abbiamo avuto alcuni seggi aperti
con ore di ritardo e questo è avvenuto addirittura nelle grandi città. C’è, quindi,
una situazione un poco agrodolce, con dei risvolti certamente positivi e importanti
per il Paese, ma che hanno evidenziato anche, comunque, una carenza strutturale non
solo a livello dell’organizzazione delle elezioni, ma dell’intero sistema Paese in
Sudan.
D. – A suo avviso, questo voto - almeno questa
è la speranza della comunità internazionale - riuscirà a ricomporre le varie crisi
che il Sudan sta vivendo?
R. – Prima di tutto, bisogna
ricordarsi come queste elezioni siano all’interno di un cammino, che è iniziato nel
2005, con la firma di un Accordo globale di pace tra il Nord e il Sud, al termine
di una guerra durata 20 anni e costata circa un milione e mezzo di morti. Questo Accordo
globale di pace prevedeva un percorso all’interno del quale si sarebbero tenute le
elezioni. Dopo sei anni quindi (la scadenza è nel gennaio del 2011), è previsto un
referendum, in cui il Sud Sudan potrà scegliere se diventare indipendente o rimanere
una provincia autonoma o semi-autonoma nel Sudan. In questo percorso, le elezioni
rappresentano certamente un momento importante. Purtroppo, bisogna tener conto del
modo con cui si stanno tenendo: con i partiti di opposizione che hanno boicottato
il voto; una situazione in Darfur che è ancora tutt’altro che stabilizzata, in cui
in molti hanno denunciato il fatto che il voto, in effetti, è molto difficile, a causa
delle situazioni contingenti, a causa del fatto che molti sfollati non hanno neanche
potuto registrarsi per votare. Quindi, diciamo che gli occhi della comunità internazionale,
ma anche gli occhi di molti sudanesi, sono rivolti ormai a quello che sarà il referendum
del gennaio del 2011. Un momento critico per la storia del Paese, perché sono in molti
a paventare la possibilità dello scoppio di nuove ostilità tra il Nord e il Sud, a
seguito di questo referendum. Quindi, diciamo che sarà importante in questi mesi un’attività
della comunità internazionale che, di fatto, in questi cinque anni non è riuscita
a portare quello sviluppo e quella ricostruzione del Paese, che era stata una degli
elementi fondanti di questo Accordo di pace.