2010-04-11 15:50:48

Anno Sacerdotale: la testimonianza del rettore della Cappella della Sapienza


Per la nostra rubrica sull’Anno Sacerdotale, oggi parliamo dei religiosi impegnati nel campo della formazione giovanile. Andiamo quindi a Roma, precisamente nella Cappella universitaria dell’ateneo “La Sapienza”. Isabella Piro ha intervistato il rettore della Cappella, padre Vicenzo D’Adamo, gesuita, e gli ha chiesto cosa significhi, per un sacerdote, stare accanto ai giovani studenti universitari: RealAudioMP3

R. – La prima cosa è capire il loro mondo, il loro vissuto, poi accoglierlo e lasciarsi portare da questo vissuto e dalle loro ricerche, dalle loro intuizioni, dalla loro creatività, poiché il momento universitario è un momento espressivo, creativo e non passivo per i nostri ragazzi. Quindi, condividere con loro la manifestazione della loro personalità.

 
D. – Quali problematiche si riscontrano maggiormente, al giorno d’oggi, tra i giovani?

 
R. – Assumere e maturare quella sicurezza in rapporto alla propria identità, al proprio progetto di vita e alle proprie prospettive, per cui una presenza di mediazione, di ascolto discreto, ma fedele – dal punto di vista anche sacerdotale – può aiutare i ragazzi a compiere un discernimento ed un processo di maggior identificazione personale.

 
D. – Lei, personalmente, cosa ha imparato dal rapporto con gli studenti in questi anni di guida alla cappella universitaria?

 
R. – Ho imparato soprattutto a vivere con maggior pienezza e fedeltà il mio sacerdozio, poiché ciò che mi chiedono i ragazzi è di essere una persona che integralmente si dedica al Signore e al Vangelo e che quindi non scimmiotta il loro linguaggio e il loro comportamento ma che, essendo vicino, disponibile e attento a condividere i loro percorsi, è fedele ed è integro nella propria esperienza di comunione con Dio e con la Chiesa.

 
D. – Com’è nata in lei la vocazione?

 
R. – La vocazione è nata in un contesto degli anni Settanta, nell’ambiente bolognese, dove ho incontrato i gesuiti mentre studiavo, lavoravo e m’interessavo alle attività politiche sindacali. E lì ho scoperto un modo di essere sacerdote profondamente radicato nella consapevolezza storica del momento vissuto, ma con grande fedeltà alla comunione con la Chiesa e con una grande serietà di preparazione. La congiunzione di questi elementi ha scatenato in me un fascino ed una passione che poi, con il tempo, ho capito essere la mia vocazione e quindi l’ho abbracciata e ne sono veramente felice. È il dono più grande che la vita e che Dio mi ha fatto: cioè quello d’incontrare un sacerdozio così vissuto in un contesto come quello degli anni Settanta.

 
D. – Quindi, se dovesse rifare la stessa scelta, la rifarebbe?

 
R. – Senza alcun dubbio, perché è la dimensione più bella che conosco della mia esistenza. Talvolta i ragazzi mi provocano e mi dicono: “Ma se tu conoscessi una realtà più importante e più bella di questa, la sceglieresti?”. La sceglierei certamente, sono disposto ad aprirmi a delle novità che Dio vorrà offrirmi, ma in questi anni– ormai sono quasi 25 – ho verificato che questo è il dono più bello che mi corrisponde pienamente, anche perché mi apre quotidianamente una comprensione ed una conoscenza delle profondità dell’animo umano nelle quali il sacerdote è chiamato ad entrare, con la delicatezza del mistero di Dio. E questa profondità di conoscenza non l’ho attinta da altre esperienze.

 
D. – Si parla spesso di crisi delle vocazioni; come invogliare i giovani ad intraprendere la vita sacerdotale?

 
R. – Ce lo chiediamo quotidianamente anche noi. Ci sono poi delle fioriture improvvise di dedizione al Signore che ci meravigliano. Dopo la mancata visita del Santo Padre a La Sapienza – che per noi è stato un momento doloroso e difficile - da quella mancata visita ad oggi – e questa notizia la do con molta delicatezza e discrezione, poiché non è un elemento propagandistico, ma è semplicemente un dato veritiero – sono fiorite cinque vocazioni, e due di queste proprio nella facoltà di Fisica, dove c’è stata la maggiore opposizione politica e pubblica alla visita del Santo Padre. Credo che i percorsi che il Signore utilizza nel suscitare vocazioni sono percorsi che talvolta ci sfuggono, quindi noi stessi siamo chiamati a ricondurci ad una maggiore e seria attenzione al modo di agire di Dio nella storia, anche per servire quel discernimento, che molti compiono nell’intimo del proprio animo, di offerta al Signore e anche di assunzione di una vocazione impegnativa come quella del sacerdozio.

 
D. – Qual è, quindi, il suo auspicio per questo Anno Sacerdotale in corso?

 
R. – Il mio auspicio è che ci riconduciamo sempre più all’amore di Dio, ad abbracciare il suo mistero e, senza fingere, ci collochiamo nel cuore delle situazioni umane delle persone e della storia nella quale viviamo, facendo proprio quest’opera di connessione, che per me è un termine molto semplice, che i ragazzi usano, per indicare la mediazione sacerdotale. Il sacerdote è un connettore tra l’esperienza umana nella sua autenticità e il mistero più alto di Dio.







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