Elezioni in Sudan: quattro candidati boicottano il voto
Quattro candidati che avrebbero dovuto sfidare il presidente Omar al-Beshir alla prossime
elezioni in Sudan hanno deciso di boicottare la consultazione. L'annuncio arriva all'indomani
di quello del principale avversario di Beshir, il capo del Movimento di Liberazione
Popolare, Yasser Arman, anche lui deciso a non presentarsi alle consultazioni elettorali
che si terranno dall'11 al 13 aprile prossimi. Come descrivere questa situazione?
Salvatore Sabatino lo ha chiesto a padre Franco Moretti, direttore della
rivista comboniana "Nigrizia":
R. – Già
si sapeva che le elezioni avrebbero incontrato delle difficoltà e non solo. Molti
si chiedevano che senso avessero alla vigilia di un referendum che potrebbe portare
alla separazione delle due nazioni – Nord Sudan e Sud Sudan – e quindi ad un nuovo
turno di elezioni per i due nuovi Stati. Teniamo presente che le elezioni fanno comodo
soprattutto ad al-Beshir che – 20 anni fa – salì al potere con un colpo di Stato:
se vincesse delle elezioni sarebbe una sorta di sua legittimazione. Il partito dell’opposizione
e dell’ex Splm nel Sud Sudan non vogliono che questo finisca con il legittimare un
golpista ed una persona che è ricercata per crimini di guerra. D.
– Human Rights Watch ha più volte denunciato la repressione del governo sudanese nei
confronti degli avversari politici. Si hanno prove concrete di questa situazione? R.
– Sembra di sì. Queste milizie, guidate dagli ex capi rivoluzionari del Sud Sudan,
che sono ora al soldo del governo di Khartoum – per esempio – continuano ancora a
seminare panico e morte nel Sud Sudan e soprattutto in quegli Stati dove il confine
o l’eventuale confine dovrebbe passare. D. – Preoccupazione
per lo svolgimento delle elezioni è stata espressa dagli Stati Uniti, ma anche dalla
Gran Bretagna e della Norvegia, che è uno dei Paesi che fornisce maggiori aiuti al
Sudan. Preoccupazioni, quelle della Comunità internazionale, che però - a quanto pare-
rimangono piuttosto inascoltate? R. – Oggi la Comunità internazionale
si dice preoccupata, ma avrebbe dovuto preoccuparsi immediatamente, già il giorno
dopo aver firmato l’accordo globale di pace. Avrebbe dovuto seguire questo accordo,
seguire tutte quante le clausole e tutti i passi che avrebbero dovuto fare. Quando
alcuni della stessa Comunità internazionale – soprattutto gli organismi per la difesa
dei diritti umani – dicevano che la pace non stava crescendo, che la pace non stava
maturando in Sudan, avrebbe dovuto intervenire: mentre si sono vantati di aver portato
l’ex Splm e il regime di Karthoum a firmare questo accordo di pace nel 2005, ma si
sono poi occupati esclusivamente del Darfur. Nel frattempo, però, al-Beshir ha creato
confusione nel resto del Paese. Oggi, insomma, i nodi vengono al pettine. In primo
luogo al-Beshir non vuole la pace e in secondo luogo il Nord Sudan non vuole affatto
perdere il Sud. Perché? Perché le risorse petrolifere sono in gran parte nel Sud del
Paese.