Messa in Coena Domini. Il Papa: nell'Eucaristia Dio si dà nelle nostre mani, non oscuriamo
con le divisioni la missione di Gesù nel mondo
“Il mistero eucaristico, la presenza del Signore sotto le specie del pane e del vino
è la massima e più alta condensazione di questo nuovo essere-con-noi di Dio. ‘Veramente
tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele’, ha pregato il profeta Isaia (45,15). Ciò rimane
sempre vero. Ma al tempo stesso possiamo dire: veramente tu sei un Dio vicino, tu
sei un Dio-con-noi. Tu ci hai rivelato il tuo mistero e ci hai mostrato il tuo volto.
Tu hai rivelato te stesso e ti sei dato nelle nostre mani… In quest’ora deve invaderci
la gioia e la gratitudine perché Egli si è mostrato; perché Egli, l’Infinito e l’Inafferrabile
per la nostra ragione, è il Dio vicino che ama, il Dio che noi possiamo conoscere
ed amare”. E’ quanto ha detto il Papa nell’omelia per la Messa in Coena Domini presieduta
nella Basilica di San Giovanni in Laterano all’apertura del Triduo Pasquale. Il Papa
ha parlato del bisogno di purificazione dell’umanità e della divisione dei cristiani
che oscura la missione di Gesù nel mondo. Ecco il testo integrale dell’omelia di
Benedetto XVI:
Cari fratelli
e sorelle,
In modo più ampio degli altri tre evangelisti,
san Giovanni, nella maniera a lui propria, ci riferisce nel suo Vangelo circa i discorsi
d’addio di Gesù, che appaiono quasi come il suo testamento e come sintesi del nucleo
essenziale del suo messaggio. All’inizio di tali discorsi c’è la lavanda dei piedi,
in cui il servizio redentore di Gesù per l’umanità bisognosa di purificazione è riassunto
in questo gesto di umiltà. Alla fine, le parole di Gesù si trasformano in preghiera,
nella sua Preghiera sacerdotale, il cui sfondo gli esegeti hanno individuato nel rituale
della festa giudaica dell’espiazione. Ciò che era il senso di quella festa e dei suoi
riti – la purificazione del mondo, la sua riconciliazione con Dio – avviene nell’atto
del pregare di Gesù, un pregare che, al tempo stesso, anticipa la Passione, la trasforma
in preghiera. Così nella Preghiera sacerdotale si rende visibile in una maniera del
tutto particolare anche il mistero permanente del Giovedì Santo: il nuovo sacerdozio
di Gesù Cristo e la sua continuazione nella consacrazione degli Apostoli, nel coinvolgimento
dei discepoli nel sacerdozio del Signore. Da questo testo inesauribile, in quest’ora
vorrei scegliere tre parole di Gesù, che possono introdurci più profondamente nel
mistero del Giovedì Santo.
Vi è innanzitutto la frase:
“Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio e colui che hai mandato,
Gesù Cristo” (Gv 17, 3). Ogni essere umano vuole vivere. Desidera una vita vera, piena,
una vita che valga la pena, che sia una gioia. Con l’anelito alla vita è, al contempo,
collegata la resistenza contro la morte, che tuttavia è ineluttabile. Quando Gesù
parla della vita eterna, Egli intende la vita autentica, vera, che merita di essere
vissuta. Non intende semplicemente la vita che viene dopo la morte. Egli intende il
modo autentico della vita – una vita che è pienamente vita e per questo è sottratta
alla morte, ma che può di fatto iniziare già in questo mondo, anzi, deve iniziare
in esso: solo se impariamo già ora a vivere in modo autentico, se impariamo quella
vita che la morte non può togliere, la promessa dell’eternità ha senso. Ma come si
realizza questo? Che cosa è mai questa vita veramente eterna, alla quale la morte
non può nuocere? La risposta di Gesù, l’abbiamo sentita: Questa è la vita vera, che
conoscano te – Dio – e il tuo Inviato, Gesù Cristo. Con nostra sorpresa, lì ci viene
detto che vita è conoscenza. Ciò significa anzitutto: vita è relazione. Nessuno ha
la vita da se stesso e solamente per se stesso. Noi l’abbiamo dall’altro, nella relazione
con l’altro. Se è una relazione nella verità e nell’amore, un dare e ricevere, essa
dà pienezza alla vita, la rende bella. Ma proprio per questo, la distruzione della
relazione ad opera della morte può essere particolarmente dolorosa, può mettere in
questione la vita stessa. Solo la relazione con Colui, che è Egli stesso la Vita,
può sostenere anche la mia vita al di là delle acque della morte, può condurmi vivo
attraverso di esse. Già nella filosofia greca esisteva l’idea che l’uomo può trovare
una vita eterna se si attacca a ciò che è indistruttibile – alla verità che è eterna.
Dovrebbe, per così dire, riempirsi di verità per portare in sé la sostanza dell’eternità.
Ma solo se la verità è Persona, essa può portarmi attraverso la notte della morte.
Noi ci aggrappiamo a Dio – a Gesù Cristo, il Risorto. E siamo così portati da Colui
che è la Vita stessa. In questa relazione noi viviamo anche attraversando la morte,
perché non ci abbandona Colui che è la Vita stessa.
Ma
ritorniamo alla parola di Gesù: Questa è la vita eterna: che conoscano te e il tuo
Inviato. La conoscenza di Dio diventa vita eterna. Ovviamente qui con “conoscenza”
s’intende qualcosa di più di un sapere esteriore, come sappiamo, per esempio, quando
è morto un personaggio famoso e quando fu fatta un’invenzione. Conoscere nel senso
della Sacra Scrittura è un diventare interiormente una cosa sola con l’altro. Conoscere
Dio, conoscere Cristo significa sempre anche amarLo, diventare in qualche modo una
cosa sola con Lui in virtù del conoscere e dell’amare. La nostra vita diventa quindi
una vita autentica, vera e così anche eterna, se conosciamo Colui che è la fonte di
ogni essere e di ogni vita. Così la parola di Gesù diventa un invito per noi: diventiamo
amici di Gesù, cerchiamo di conoscerLo sempre di più! Viviamo in dialogo con Lui!
Impariamo da Lui la vita retta, diventiamo suoi testimoni! Allora diventiamo persone
che amano e allora agiamo in modo giusto. Allora viviamo veramente.
Due
volte nel corso della Preghiera sacerdotale Gesù parla della rivelazione del nome
di Dio. “Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo” (v. 6).
“Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il
quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (v. 26). Il Signore allude qui alla scena
presso il roveto ardente, dal quale Dio, alla domanda di Mosè, aveva rivelato il suo
nome. Gesù vuole quindi dire che Egli porta a termine ciò che era iniziato presso
il roveto ardente; che in Lui Dio, che si era fatto conoscere a Mosè, ora si rivela
pienamente. E che con ciò Egli compie la riconciliazione; che l’amore con cui Dio
ama suo Figlio nel mistero della Trinità, coinvolge ora gli uomini in questa circolazione
divina dell’amore. Ma che cosa significa più precisamente che la rivelazione dal roveto
ardente viene portata a termine, raggiunge pienamente la sua meta? L’essenziale dell’avvenimento
al monte Oreb non era stata la parola misteriosa, il “nome”, che Dio aveva consegnato
a Mosè, per così dire, come segno di riconoscimento. Comunicare il nome significa
entrare in relazione con l’altro. La rivelazione del nome divino significa dunque
che Dio, che è infinito e sussiste in se stesso, entra nell’intreccio di relazioni
degli uomini; che Egli, per così dire, esce da se stesso e diventa uno di noi, uno
che è presente in mezzo a noi e per noi. Per questo in Israele sotto il nome di Dio
non si è visto solo un termine avvolto di mistero, ma il fatto dell’essere-con-noi
di Dio. Il Tempio, secondo la Sacra Scrittura, è il luogo in cui abita il nome di
Dio. Dio non è racchiuso in alcuno spazio terreno; Egli rimane infinitamente al di
sopra del mondo. Ma nel Tempio è presente per noi come Colui che può essere chiamato
– come Colui che vuol essere con noi. Questo essere di Dio con il suo popolo si compie
nell’incarnazione del Figlio. In essa si completa realmente ciò che aveva avuto inizio
presso il roveto ardente: Dio quale Uomo può essere da noi chiamato e ci è vicino.
Egli è uno di noi, e tuttavia è il Dio eterno ed infinito. Il suo amore esce, per
così dire, da se stesso ed entra in noi. Il mistero eucaristico, la presenza del Signore
sotto le specie del pane e del vino è la massima e più alta condensazione di questo
nuovo essere-con-noi di Dio. “Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele”, ha
pregato il profeta Isaia (45,15). Ciò rimane sempre vero. Ma al tempo stesso possiamo
dire: veramente tu sei un Dio vicino, tu sei un Dio-con-noi. Tu ci hai rivelato il
tuo mistero e ci hai mostrato il tuo volto. Tu hai rivelato te stesso e ti sei dato
nelle nostre mani… In quest’ora deve invaderci la gioia e la gratitudine perché Egli
si è mostrato; perché Egli, l’Infinito e l’Inafferrabile per la nostra ragione, è
il Dio vicino che ama, il Dio che noi possiamo conoscere ed amare.
La
richiesta più nota della Preghiera sacerdotale è la richiesta dell’unità per i discepoli,
per quelli di allora e quelli futuri: “Non prego solo per questi – la comunità dei
discepoli radunata nel Cenacolo – ma anche per quelli che crederanno in me mediante
la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in
te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.” (v. 20s;
cfr vv. 11 e 13). Che cosa chiede precisamente qui il Signore? Innanzitutto, Egli
prega per i discepoli di quel tempo e di tutti i tempi futuri. Guarda in avanti verso
l’ampiezza della storia futura. Vede i pericoli di essa e raccomanda questa comunità
al cuore del Padre. Egli chiede al Padre la Chiesa e la sua unità. È stato detto che
nel Vangelo di Giovanni la Chiesa non compare. Qui, invece, essa appare nelle sue
caratteristiche essenziali: come la comunità dei discepoli che, mediante la parola
apostolica, credono in Gesù Cristo e così diventano una cosa sola. Gesù implora la
Chiesa come una ed apostolica. Così questa preghiera è propriamente un atto fondante
della Chiesa. Il Signore chiede la Chiesa al Padre. Essa nasce dalla preghiera di
Gesù e mediante l’annuncio degli Apostoli, che fanno conoscere il nome di Dio e introducono
gli uomini nella comunione di amore con Dio. Gesù chiede dunque che l’annuncio dei
discepoli prosegua lungo i tempi; che tale annuncio raccolga uomini i quali, in base
ad esso, riconoscono Dio e il suo Inviato, il Figlio Gesù Cristo. Egli prega affinché
gli uomini siano condotti alla fede e, mediante la fede, all’amore. Egli chiede al
Padre che questi credenti “siano in noi” (v. 21); che vivano, cioè, nell’interiore
comunione con Dio e con Gesù Cristo e che da questo essere interiormente nella comunione
con Dio si crei l’unità visibile. Due volte il Signore dice che questa unità dovrebbe
far sì che il mondo creda alla missione di Gesù. Deve quindi essere un’unità che si
possa vedere – un’unità che vada tanto al di là di ciò che solitamente è possibile
tra gli uomini, da diventare un segno per il mondo ed accreditare la missione di Gesù
Cristo. La preghiera di Gesù ci dà la garanzia che l’annuncio degli Apostoli non potrà
mai cessare nella storia; che susciterà sempre la fede e raccoglierà uomini nell’unità
– in un’unità che diventa testimonianza per la missione di Gesù Cristo. Ma questa
preghiera è sempre anche un esame di coscienza per noi. In quest’ora il Signore ci
chiede: vivi tu, mediante la fede, nella comunione con me e così nella comunione con
Dio? O non vivi forse piuttosto per te stesso, allontanandoti così dalla fede? E non
sei forse con ciò colpevole della divisione che oscura la mia missione nel mondo;
che preclude agli uomini l’accesso all’amore di Dio? È stata una componente della
Passione storica di Gesù e rimane una parte di quella sua Passione che si prolunga
nella storia, l’aver Egli visto e il vedere tutto ciò che minaccia, distrugge l’unità.
Quando noi meditiamo sulla Passione del Signore, dobbiamo anche percepire il dolore
di Gesù per il fatto che siamo in contrasto con la sua preghiera; che facciamo resistenza
al suo amore; che ci opponiamo all’unità, che deve essere per il mondo testimonianza
della sua missione.
In quest’ora, in cui il Signore
nella Santissima Eucaristia dona se stesso – il suo corpo e il suo sangue –, si dà
nelle nostre mani e nei nostri cuori, vogliamo lasciarci toccare dalla sua preghiera.
Vogliamo entrare noi stessi nella sua preghiera, e così lo imploriamo: Sì, Signore,
donaci la fede in te, che sei una cosa sola con il Padre nello Spirito Santo. Donaci
di vivere nel tuo amore e così diventare una cosa sola come tu sei una cosa sola con
il Padre, perché il mondo creda. Amen.