Medvedev a sorpresa in Daghestan: misure dure contro il terrorismo
Il leader del Cremlino Medvedev ha sollecitato l'allargamento e il rafforzamento delle
misure antiterrorismo, che – dice - devono essere non solo più efficaci, ma anche
dure, feroci e preventive. Medvedev è giunto oggi a sorpresa nella capitale daghestana,
Makhackala, tre giorni dopo l'attentato alla metro di Mosca, che ha fatto 39 vittime,
e all'indomani di quello in Daghestan che ha ucciso 12 persone. Nella notte due persone
sono rimaste uccise nella regione russa del Daghestan per l'esplosione della loro
auto, che presumibilmente trasportava esplosivi. Medvedev incontrerà i capi delle
repubbliche del nuovo distretto federale del Caucaso del nord. Intanto, il capo dell'Fsb,
Bortnikov, ha reso noto che i servizi segreti russi "conoscono l'identità degli organizzatori
degli attentati". Bisogna dire che a rivendicare gli attentati è stato il leader del
movimento indipendentista ceceno ed auto-proclamato “emiro del Caucaso”, Doku Umarov.
Giada Aquilino ne ha parlato con Fulvio Scaglione, vicedirettore di
Famiglia Cristiana ed esperto di questioni caucasiche:
R. – Umarov
è uno degli ultimi superstiti della lotta indipendentista della Cecenia, perché
i servizi segreti russi – quando le ostilità si sono ridotte e poi sostanzialmente
spente – hanno condotto internazionalmente una vera e propria caccia all’uomo per
eliminare tutti i leader sia della guerriglia, sia dell’opposizione politica cecena.
Ma probabilmente Umarov è, in questo momento e con tale rivendicazione, soprattutto
una facciata, perché sono assai poco convinto che tutte le spiegazioni così concentrate
sul Caucaso siano poi, alla fine, quelle veritiere rispetto all’origine di questa
strage.
D. – Quale linea si potrebbe seguire, invece?
R.
– Intanto, è ovvio che il Caucaso è una polveriera: lo è da parecchi anni e lo è storicamente.
Per fare solo un piccolo esempio, la Cecenia era – pure ai tempi dell’Unione Sovietica
– la più povera tra tutte le Repubbliche e quindi un bacino di fortissimo malcontento,
anche a prescindere dalle deportazioni e dalle stragi di ceceni compiute all’epoca
di Stalin. Si dovrebbe badare maggiormente alla svolta che la politica russa sta vivendo
nei confronti del resto del mondo: siamo usciti da un decennio in cui c’era questo
fortissimo confronto Usa-Russia, dovuto soprattutto all’ambizione che entrambi avevano
di controllare i flussi energetici del petrolio e del gas, le rotte degli oleodotti,
i prezzi del mercato energetico. La crisi economica del 2008-2009 ha spazzato via
le ambizioni di entrambi i Paesi. Washington e Mosca, in questa situazione, hanno
riavvicinato le proprie posizioni: c’è stato il Trattato Start e, subito dopo, il
presidente russo Medvedev ha fatto un sostanziale passo verso le posizioni Usa nei
confronti dell’Iran e delle sue ambizioni nucleari. Mi domanderei, quindi, se questa
ripresa del dialogo tra Russia e Usa non dispiaccia a qualcun altro.
D.
– Perché proprio in questo momento gli attentati di Mosca e nel Caucaso?
R.
– Il Daghestan è una palestra di stragismo ormai da molti anni: nella sola estate
scorsa, credo che siano morte in atti di violenza a sfondo più o meno politico almeno
400 persone. Perché è stata colpita così Mosca, in questo momento? Io credo che lo
si debba proprio a quel mutamento di rotta della politica russa e al riavvicinamento
agli Usa che possono dispiacere a molti: per esempio in primo luogo all’Iran, che
ha sempre avuto, per anni, nella Russia un alleato fedele, un alleato che invece adesso
parla di sanzioni ed è più lontano di prima dalla politica degli ayatollah. Ma se
nascesse un’intesa russo-americana, anche alla Cina potrebbe non fare molto piacere:
Pechino ha con l’Iran un rapporto di affari molto stretto. E potrebbe non far piacere
a molti Paesi del Golfo, perché sulla rotta Mosca-Washington si giocano anche i prezzi
del mercato del petrolio. Non dimentichiamo che la Russia è il secondo esportatore
mondiale di petrolio e non è nell’Opec.