Il Papa alla Messa Crismale: chi ama è pronto a soffrire come Gesù che insultato non
rispondeva con insulti. Il cristiano rifiuti falsità e ingiustizia
“Come sacerdoti siamo chiamati ad essere, nella comunione con Gesù Cristo, uomini
di pace, siamo chiamati ad opporci alla violenza e a fidarci del potere più grande
dell'amore”. E’ quanto ha detto il Papa stamani durante la Messa crismale in questo
Giovedì Santo che nel pomeriggio vedrà l’apertura del Triduo Pasquale con la Messa
in Coena Domini. Quindi ha aggiunto: “Appartiene al simbolismo dell'olio anche il
fatto che esso rende forti per la lotta. Ciò non contrasta col tema della pace, ma
ne è una parte. La lotta dei cristiani consisteva e consiste non nell'uso della violenza,
ma nel fatto che essi erano e sono tuttora pronti a soffrire per il bene, per Dio.
Consiste nel fatto che i cristiani, come buoni cittadini, rispettano il diritto e
fanno ciò che è giusto e buono. Consiste nel fatto che rifiutano di fare ciò che negli
ordinamenti giuridici in vigore non è diritto, ma ingiustizia. La lotta dei martiri
consisteva nel loro "no" concreto all'ingiustizia: respingendo la partecipazione al
culto idolatrico, all'adorazione dell'imperatore, si sono rifiutati di piegarsi davanti
alla falsità, all'adorazione di persone umane e del loro potere. Con il loro "no"
alla falsità e a tutte le sue conseguenze hanno innalzato il potere del diritto e
della verità. Così hanno servito la vera pace. Anche oggi è importante per i cristiani
seguire il diritto, che è il fondamento della pace. Anche oggi è importante per i
cristiani non accettare un'ingiustizia che viene elevata a diritto - per esempio,
quando si tratta dell'uccisione di bambini innocenti non ancora nati. Proprio così
serviamo la pace e proprio così ci troviamo a seguire le orme di Gesù Cristo, di cui
san Pietro dice: "Insultato non rispondeva con insulti; maltrattato non minacciava
vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati
nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo
per la giustizia" (1 Pt 2,23s).”. E poi: “Chi ama è pronto a soffrire per l'amato
e a motivo del suo amore, e proprio così sperimenta una gioia più profonda”. Ecco
il testo integrale dell’omelia del Papa:
Cari fratelli e sorelle! Centro
del culto della Chiesa è il Sacramento. Sacramento significa che in primo luogo non
siamo noi uomini a fare qualcosa, ma Dio in anticipo ci viene incontro con il suo
agire, ci guarda e ci conduce verso di sé. E c'è ancora qualcos'altro di singolare:
Dio ci tocca per mezzo di realtà materiali, attraverso doni del creato che Egli assume
al suo servizio, facendone strumenti dell'incontro tra noi e Lui stesso. Sono quattro
gli elementi della creazione con i quali è costruito il cosmo dei Sacramenti: l'acqua,
il pane di frumento, il vino e l'olio di oliva. L'acqua come elemento basilare e condizione
fondamentale di ogni vita è il segno essenziale dell'atto in cui, nel Battesimo, si
diventa cristiani, della nascita alla vita nuova. Mentre l'acqua è l'elemento vitale
in genere e quindi rappresenta l'accesso comune di tutti alla nuova nascita da cristiani,
gli altri tre elementi appartengono alla cultura dell'ambiente mediterraneo. Essi
rimandano così al concreto ambiente storico in cui il cristianesimo si è sviluppato.
Dio ha agito in un luogo ben determinato della terra, ha veramente fatto storia con
gli uomini. Questi tre elementi, da una parte, sono doni del creato e, dall'altra,
sono tuttavia anche indicazioni dei luoghi della storia di Dio con noi. Sono una sintesi
tra creazione e storia: doni di Dio che ci collegano sempre con quei luoghi del mondo,
nei quali Dio ha voluto agire con noi nel tempo della storia, diventare uno di noi. In
questi tre elementi c'è di nuovo una graduazione. Il pane rinvia alla vita quotidiana.
È il dono fondamentale della vita giorno per giorno. Il vino rinvia alla festa, alla
squisitezza del creato, in cui, al contempo, può esprimersi in modo particolare la
gioia dei redenti. L'olio dell'ulivo ha un significato ampio. È nutrimento, è medicina,
dà bellezza, allena per la lotta e dona vigore. I re e i sacerdoti vengono unti con
olio, che così è segno di dignità e di responsabilità, come anche della forza che
viene da Dio. Nel nostro nome "cristiani" è presente il mistero dell'olio. La parola
"cristiani", infatti, con cui i discepoli di Cristo vengono chiamati già all'inizio
della Chiesa proveniente dai pagani, deriva dalla parola "Cristo" (cfr At 11,20-21)
- traduzione greca della parola "Messia", che significa "Unto". Essere cristiani vuol
dire: provenire da Cristo, appartenere a Cristo, all'Unto di Dio, a Colui al quale
Dio ha donato la regalità e il sacerdozio. Significa appartenere a Colui che Dio stesso
ha unto - non con un olio materiale, ma con Colui che è rappresentato dall'olio:
con il suo Santo Spirito. L'olio di oliva è così in modo del tutto particolare simbolo
della compenetrazione dell'Uomo Gesù da parte dello Spirito Santo. Nella
Messa crismale del Giovedì Santo gli oli santi stanno al centro dell'azione liturgica.
Vengono consacrati nella cattedrale dal Vescovo per tutto l'anno. Esprimono così anche
l'unità della Chiesa, garantita dall'Episcopato, e rimandano a Cristo, il vero "pastore
e custode delle nostre anime", come lo chiama san Pietro (cfr 1 Pt 2,25). E, al contempo,
tengono insieme tutto l'anno liturgico, ancorato al mistero del Giovedì Santo. Infine,
rimandano all'Orto degli Ulivi, in cui Gesù ha accettato interiormente la sua Passione.
L'Orto degli Ulivi è però anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi
il luogo della Redenzione: Dio non ha lasciato Gesù nella morte. Gesù vive per sempre
presso il Padre, e proprio per questo è onnipresente, sempre presso di noi. Questo
duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre "attivo" nell'olio sacramentale
della Chiesa. In quattro Sacramenti l'olio è segno della bontà di Dio che ci tocca:
nel Battesimo, nella Cresima come Sacramento dello Spirito Santo, nei vari gradi del
Sacramento dell'Ordine e, infine, nell'Unzione degli infermi, in cui l'olio ci viene
offerto, per così dire, quale medicina di Dio - come la medicina che ora ci rende
certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso tempo,
al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione
(cfr Gc 5,14). Così l'olio, nelle sue diverse forme, ci accompagna lungo tutta la
vita: a cominciare dal catecumenato e dal Battesimo fino al momento in cui ci prepariamo
all'incontro con il Dio Giudice e Salvatore. Infine, la Messa crismale, in cui il
segno sacramentale dell'olio ci viene presentato come linguaggio della creazione di
Dio, si rivolge, in modo particolare, a noi sacerdoti: essa ci parla di Cristo, che
Dio ha unto Re e Sacerdote - di Lui che ci rende partecipi del suo sacerdozio, della
sua "unzione", nella nostra Ordinazione sacerdotale. Vorrei
quindi tentare di spiegare ancora brevemente il mistero di questo santo segno nel
suo riferimento essenziale alla vocazione sacerdotale. In etimologie popolari si è
collegata, già nell'antichità, la parola greca "elaion" - olio - con la parola "eleos"
- misericordia. Di fatto, nei vari Sacramenti, l'olio consacrato è sempre segno della
misericordia di Dio. L'unzione per il sacerdozio significa pertanto sempre anche l'incarico
di portare la misericordia di Dio agli uomini. Nella lampada della nostra vita non
dovrebbe mai venir a mancare l'olio della misericordia. Procuriamocelo sempre in tempo
presso il Signore - nell'incontro con la sua Parola, nel ricevere i Sacramenti, nel
trattenerci in preghiera presso di Lui. Attraverso la storia
della colomba col ramo d'ulivo, che annunciava la fine del diluvio e così la nuova
pace di Dio con il mondo degli uomini, non solo la colomba, ma anche il ramo d'ulivo
e l'olio stesso sono diventati simbolo della pace. I cristiani dei primi secoli amavano
ornare le tombe dei loro defunti con la corona della vittoria e il ramo d'ulivo, simbolo
della pace. Sapevano che Cristo ha vinto la morte e che i loro defunti riposavano
nella pace di Cristo. Si sapevano, essi stessi, attesi da Cristo, che aveva loro promesso
la pace che il mondo non è in grado di dare. Si ricordavano che la prima parola del
Risorto ai suoi era stata: "Pace a voi!" (Gv 20,19). Egli stesso porta, per così dire,
il ramo d'ulivo, introduce la sua pace nel mondo. Annuncia la bontà salvifica di Dio.
Egli è la nostra pace. I cristiani dovrebbero quindi essere persone di pace, persone
che riconoscono e vivono il mistero della Croce come mistero della riconciliazione.
Cristo non vince mediante la spada, ma per mezzo della Croce. Vince superando l'odio.
Vince mediante la forza del suo amore più grande. La Croce di Cristo esprime il "no"
alla violenza. E proprio così essa è il segno della vittoria di Dio, che annuncia
la nuova via di Gesù. Il sofferente è stato più forte dei detentori del potere. Nell'autodonazione
sulla Croce, Cristo ha vinto la violenza. Come sacerdoti siamo chiamati ad essere,
nella comunione con Gesù Cristo, uomini di pace, siamo chiamati ad opporci alla violenza
e a fidarci del potere più grande dell'amore. Appartiene al
simbolismo dell'olio anche il fatto che esso rende forti per la lotta. Ciò non contrasta
col tema della pace, ma ne è una parte. La lotta dei cristiani consisteva e consiste
non nell'uso della violenza, ma nel fatto che essi erano e sono tuttora pronti a soffrire
per il bene, per Dio. Consiste nel fatto che i cristiani, come buoni cittadini, rispettano
il diritto e fanno ciò che è giusto e buono. Consiste nel fatto che rifiutano di fare
ciò che negli ordinamenti giuridici in vigore non è diritto, ma ingiustizia. La lotta
dei martiri consisteva nel loro "no" concreto all'ingiustizia: respingendo la partecipazione
al culto idolatrico, all'adorazione dell'imperatore, si sono rifiutati di piegarsi
davanti alla falsità, all'adorazione di persone umane e del loro potere. Con il loro
"no" alla falsità e a tutte le sue conseguenze hanno innalzato il potere del diritto
e della verità. Così hanno servito la vera pace. Anche oggi è importante per i cristiani
seguire il diritto, che è il fondamento della pace. Anche oggi è importante per i
cristiani non accettare un'ingiustizia che viene elevata a diritto - per esempio,
quando si tratta dell'uccisione di bambini innocenti non ancora nati. Proprio così
serviamo la pace e proprio così ci troviamo a seguire le orme di Gesù Cristo, di cui
san Pietro dice: "Insultato non rispondeva con insulti; maltrattato non minacciava
vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati
nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo
per la giustizia" (1 Pt 2,23s). I Padri della Chiesa erano
affascinati da una parola dal Salmo 45 (44) - secondo la tradizione il Salmo nuziale
di Salomone -, che veniva riletto dai cristiani come Salmo per le nozze del nuovo
Salomone, Gesù Cristo, con la sua Chiesa. Lì si dice al Re, Cristo: "Ami la giustizia
e la malvagità detesti: Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza
dei tuoi compagni" (v. 8). Che cosa è questo olio di letizia con cui è stato unto
il vero Re, Cristo? I Padri non avevano alcun dubbio al riguardo: l'olio di letizia
è lo stesso Spirito Santo, che è stato effuso su Gesù Cristo. Lo Spirito Santo è la
letizia che viene da Dio. Da Gesù questa letizia si riversa su di noi nel suo Vangelo,
nella buona novella che Dio ci conosce, che Egli è buono e che la sua bontà è un potere
sopra tutti i poteri; che noi siamo voluti ed amati da Lui. La gioia è frutto dell'amore.
L'olio di letizia, che è stato effuso su Cristo e da Lui viene a noi, è lo Spirito
Santo, il dono dell'Amore che ci rende lieti dell'esistenza. Poiché conosciamo Cristo
e in Cristo Dio, sappiamo che è cosa buona essere uomo. È cosa buona vivere, perché
siamo amati. Perché la verità stessa è buona. Nella Chiesa antica
l'olio consacrato è stato considerato, in modo particolare, come segno della presenza
dello Spirito Santo, che a partire da Cristo si comunica a noi. Egli è l'olio di letizia.
Questa letizia è una cosa diversa dal divertimento o dall'allegria esteriore che la
società moderna si auspica. Il divertimento, nel suo posto giusto, è certamente cosa
buona e piacevole. È bene poter ridere. Ma il divertimento non è tutto. È solo una
piccola parte della nostra vita, e dove esso vuol essere il tutto diventa una maschera
dietro la quale si nasconde la disperazione o almeno il dubbio se la vita sia veramente
buona, o se non sarebbe forse meglio non esistere invece di esistere. La gioia, che
da Cristo ci viene incontro, è diversa. Essa ci dà allegria, sì, ma certamente può
andar insieme anche con la sofferenza. Ci dà la capacità di soffrire e, nella sofferenza,
di restare tuttavia intimamente lieti. Ci dà la capacità di condividere la sofferenza
altrui e così di rendere percepibile, nella disponibilità reciproca, la luce e la
bontà di Dio. Mi fa sempre riflettere il racconto degli Atti degli Apostoli secondo
cui gli Apostoli, dopo che il Sinedrio li aveva fatti flagellare, erano "lieti di
essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù" (At 5,41). Chi
ama è pronto a soffrire per l'amato e a motivo del suo amore, e proprio così sperimenta
una gioia più profonda. La gioia dei martiri era più forte dei tormenti loro inflitti.
Questa gioia, alla fine, ha vinto ed ha aperto a Cristo le porte della storia. Quali
sacerdoti, noi siamo - come dice san Paolo - "collaboratori della vostra gioia" (2
Cor 1,24). Nel frutto dell'ulivo, nell'olio consacrato, ci tocca la bontà del Creatore,
l'amore del Redentore. Preghiamo che la sua letizia ci pervada sempre più in profondità
e preghiamo di essere capaci di portarla nuovamente in un mondo che ha così urgentemente
bisogno della gioia che scaturisce dalla verità. Amen.