Giovanni Paolo II a cinque anni dalla morte. Il cardinale Comastri: ci ha lasciato
il coraggio di testimoniare la fede nel mondo
Messe, momenti di preghiera, mostre, libri, incontri culturali: sono molteplici i
modi con i quali fedeli cattolici e non si apprestano, in tutto il mondo, a commemorare
il quinto anniversario della morte di Giovanni Paolo II, avvenuta il 2 aprile 2005.
Alla vigilia di questo evento, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza
del cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato della
Città del Vaticano, che ritorna con la memoria a quei momenti indelebili vissuti 5
anni fa:
R.
– Sono indimenticabili, quei momenti, anche perché sono momenti nei quali ognuno ha
qualcosa di suo da ricordare. Io ricordo l’incontro che ebbi con il Santo Padre Giovanni
Paolo II, ormai sulla soglia dell’eternità, il primo aprile 2005. Venni chiamato dall’allora
segretario, mons. Dziwisz, che mi disse: “Il Santo Padre sta morendo. Se vuole, venga
a prendere l’ultima benedizione”. Feci una corsa come non ho mai fatto, per raggiungere
l’appartamento del Papa. Quando mi trovai accanto al suo letto, mi inginocchiai e
mons. Dziwisz, toccando il braccio del Papa, lo scosse un po’ e gli disse: “Padre
Santo, c’è qui Loreto” – perché io venivo da Loreto. Il Papa aprì gli occhi, mi guardò
e disse sottovoce: “No, San Pietro!”: quindi ricordò – era lucidissimo! – che io avevo
lasciato Loreto ed ero venuto a San Pietro e che lui mi aveva dato questo incarico.
Allora, mi feci coraggio e chiesi: “Padre Santo, mi dia una benedizione per questa
nuova missione alla quale mi ha chiamato!”. Lo vedo ancora: tentò di alzare la mano
destra, che era gonfia. Alzò la mano soltanto di due o tre centimetri, poi la mano
ricadde. Io allora dissi: “Padre Santo, la benedizione è già partita dal cuore, io
la custodisco come un tesoro prezioso. La ringrazio”. Questo è l’ultimo ricordo, indelebile,
che porto con me.
D. – A cinque anni dalla morte,
la presenza di Giovanni Paolo II nella vita di una moltitudine di persone è ancora
vivissima: basta affacciarsi la mattina a San Pietro, per vedere le migliaia di pellegrini
che ogni giorno fanno la fila per passare poi solo qualche secondo davanti alla tomba
di Giovanni Paolo II. Perché, secondo lei?
R. – E’
vero: la folla di pellegrini continua ininterrotta. Molto spesso, al mattino, io mi
fermo per una breve preghiera davanti alla tomba di Giovanni Paolo II e osservo i
volti, guardo i volti e noto emozione. All’inizio, forse, c’era un po’ di curiosità;
oggi c’è soprattutto devozione e desiderio di raccogliere in qualche modo il profumo
che viene dalla tomba, che viene quindi dalla testimonianza di Giovanni Paolo II.
Anch’io mi chiedo perché: sicuramente, perché Giovanni Paolo II è stato un modello
di vita spesa per il bene. Oggi la società, purtroppo, è dominata da modelli vuoti,
da modelli insignificanti, da modelli che – come fuochi artificiali – appaiono per
un momento sullo schermo televisivo e poi spariscono. Giovanni Paolo II era un uomo
che sapeva perché viveva e per chi viveva. Si vedeva che era mosso da un ideale, era
mosso da un progetto di vita; era un uomo che si spendeva per l’ideale a cui aveva
legato la sua vita, e il suo ideale era Gesù! A vedere un uomo così determinato nel
vivere il proprio ideale di vita, indubbiamente oggi commuove, perché è raro trovare
persone così! E credo che la gente, soprattutto i giovani, vengano da lui per cercare
– in qualche modo – di carpire il segreto di questa vita e – in qualche modo – imitarla.
D.
– Di Giovanni Paolo II è stato detto e scritto di tutto. Ma qual è, secondo lei, il
messaggio, la testimonianza più forte che ha lasciato all’umanità?
R.
– A mio giudizio è il coraggio. Il coraggio di testimoniare la fede in un mondo che
sembra molto spesso indifferente e ostile alla fede. Io non dimenticherò mai che il
16 ottobre 1978 improvvisamente in Piazza San Pietro, quando si affacciò questo nuovo
Papa che per tutti era una sorpresa – “un Papa venuto da lontano”, come lui stesso
disse – tuonò in Piazza San Pietro la sua testimonianza di fede gridando: “Sia lodato
Gesù Cristo!”. A me venne in mente un altro momento della storia della Chiesa, la
Pentecoste dell’anno Trenta, quando a Gerusalemme il primo Papa, Pietro, uscendo dal
Cenacolo, senza paura, in Gerusalemme, cioè in quella città che aveva condannato Gesù,
senza paura, gridò il nome: “Gesù di Nazareth, che voi avete crocifisso, è risorto!”.
La storia cristiana è iniziata con questo grido di Pietro. Ebbene, il 16 ottobre 1978
a me sembrò che quel grido ritornasse, che nella voce di Giovanni Paolo II ritornasse
il coraggio delle origini, il coraggio degli inizi: “Sia lodato Gesù Cristo! Non abbiate
paura di lui! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. Tutta la sua vita si è
mossa all’interno di questo coraggio. Ha gridato la sua fede in un mondo che sembrava
addormentato o indifferente, e dovunque sia passato, ha scosso le coscienze.
D.
– “Totus tuus”. Giovanni Paolo II è anche il Papa mariano per antonomasia. Ha qualche
ricordo, anche personale, di questa dimensione davvero particolare della figura di
Karol Wojtyla?
R. – Io ero in piazza San Pietro il
25 marzo 1984, quando Giovanni Paolo II consacrò il mondo alla Madonna e consacrò
in modo particolare la Russia alla Madonna. Ebbene, il 25 marzo di quell’anno, nessuno
poteva immaginare che cosa avrebbe significato quella consacrazione. Però – e questa
è storia! – subito dopo, in Russia va al potere Michail Gorbaciov e inizia il pacifico
processo di autodemolizione dell’impero del comunismo ateo: qualcosa di incredibile,
di impensabile, di imprevedibile! E non solo: l’8 dicembre 1991 – siamo sempre negli
anni di Giovanni Paolo – festa dell’Immacolata Concezione di Maria, in una riunione
dei leader delle più importanti repubbliche della vecchia Urss, viene deciso lo smantellamento
dell’Unione Sovietica. Il fatto stupì il mondo intero e lasciò tutti con il fiato
sospeso, addirittura anche quei leader che erano lì presenti … Lo stesso Michail Gorbaciov,
nel 2001, sul Corriere della Sera, ha rilasciato questa dichiarazione: “Ancora oggi
– sono parole sue – non riesco a capire quello che passò per la testa dei deputati
russi, ucraini e bielorussi in quell’8 dicembre 1991”. Dieci anni dopo, Gorbaciov
ancora se lo chiedeva. Ma io credo che alla radice di tutto ci sia stato quell’atto
di devozione mariana di Giovanni Paolo II: si è affidato a Maria, obbedendo all’invito
di Gesù che ci ha presentato Maria come nostra Madre quando a Giovanni ha detto: “Giovanni,
ecco tua madre!”. Giovanni Paolo II ha preso sul serio questa consegna di Gesù e ce
l’ha dimostrato in mille maniere. Ma quel giorno, questa devozione mariana è diventata
storia che ancora segna la storia del nostro tempo.
D.
– Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger sono legati da un profondo, indissolubile legame
di amicizia in Cristo. Cosa pensa di chi, anche ultimamente, ha voluto contrapporre
le due figure?
R. – Contrapporre le due figure è
impossibile e impensabile. Tra Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger c’è un’amicizia, un’amicizia
di fede e quindi una continuità di fede che nessuno potrà mai mettere in discussione.
Poi, è chiaro, le persone sono diverse, come sono diversi i fiori, come sono diversi
i paesaggi … Dio non fa nulla in fotocopia! Sono due persone diverse, ma c’è una continuità
di fede, una continuità di passione per il Vangelo, una continuità di dedizione alla
Chiesa, una continuità di stile profetico che accomuna i due Papi. E questo è uno
spettacolo che commuove nel quale noi leggiamo con sicurezza la mano della Provvidenza
che guida la Chiesa e guida quindi anche il Papato.