2010-03-31 15:45:25

Eccidi in Congo: indaga l'Onu. La Chiesa: governo latitante


Sarebbero 290 secondo la missione Onu in Congo (MONUC), 321 secondo Human Rights Watch, le vittime del massacro compiuto in dicembre nel nord della Repubblica Democratica del Congo dai ribelli ugandesi dell’Esercito di resistenza del Signore (LRA). A confermarlo anche fonti dell’Episcopato dell’ex Zaire. Inoltre, mons. Julien Andavo Mbia, vescovo di Isiro-Nyangara, nel nordest del Paese, intervistato dall’agenzia missionaria Misna riferisce che “dopo le uccisioni di dicembre scorso, già denunciate all’epoca, non c’è stata alcuna indagine governativa e nessun aiuto per le famiglie delle vittime, che soffrono e hanno bisogno di assistenza". La missione delle Nazioni Unite ha intanto inviato un team di investigatori nella zona degli eccidi, il distretto di Haut Uele, anche per accertare la sorte di almeno 150 persone che sarebbero state sequestrate. Sulle ragioni di queste violenze, Giada Aquilino ha intervistato Michele Luppi, giornalista esperto di Africa e autore di reportage dalla Repubblica Democratica del Congo:RealAudioMP3

R. – La situazione è difficile da capire. Credo che in questa vicenda sia emblematico il fatto che non si sappia nemmeno quale sia il numero preciso delle vittime. Ciò indica una situazione da un lato di instabilità, ma dall’altro anche di mancanza di conoscenza e di controllo del territorio da parte del governo congolese. Il problema è che in questa regione, che è a cavallo tra il Sud Sudan, la Repubblica Centrafricana e l’Uganda, sono disseminati piccoli gruppi di questi ribelli del Lord’s Resistance Army che, oggi come oggi, attaccano più che altro per mangiare, concentrandosi specialmente sui piccoli villaggi: arrivano in questi villaggi, saccheggiano, uccidono compiendo anche atti atroci e poi scappano velocemente, costringendo la popolazione a seguirli per portare i viveri che hanno saccheggiato.
 
D. – L’Esercito di resistenza del Signore in Congo ex Zaire è comandato dal generale Ongwen, ricercato dalla Corte penale internazionale. Ma qual è la situazione di questo movimento ribelle in Uganda?
 
R. – Dal 2006, l’Esercito di resistenza del Signore si è spostato quasi totalmente nella Repubblica Democratica del Congo, per poi sconfinare nella Repubblica Centrafricana e nel Sud Sudan. Ciò è avvenuto dopo quello che era stato un tentativo di accordo tra il governo ugandese e l’Esercito di resistenza del Signore a Juba, quasi culminato in una firma di un’intesa di pace. Poi l’accordo è saltato, a seguito del mandato di cattura internazionale nei riguardi dei vertici stessi dell’Esercito di resistenza del Signore.
 
D. – In Congo, tra l’altro, è schierata la Monuc, la missione dell’Onu. Qual è il suo compito?
 
R. – Il compito della Monuc, da statuto, dovrebbe essere proprio quello di difendere e di proteggere la popolazione oltre, ovviamente, a favorire la stabilizzazione e la democratizzazione del Paese. Purtroppo, in questi anni anche la missione Onu è riuscita a fare poco, soprattutto per quanto riguarda la difesa della popolazione. Se da un lato abbiamo avuto le elezioni e in alcune aree c’è stata una certa stabilizzazione, le critiche che vengono mosse dalla popolazione congolese alla Monuc è proprio quella di non essere riuscita a difendere la gente, pur essendo presente nel Paese con circa 20 mila uomini. E questo è dovuto certamente anche ad una vastità di territorio che rende difficile il dispiegamento in tutti i villaggi di uomini, sia dell’esercito di Kinshasa sia della stessa missione delle Nazioni Unite.
 
D. – Perché è così instabile quest’area?
 
R. – Prima di tutto, per capire la storia soprattutto dell’Est della Repubblica Democratica del Congo, bisogna inserirla in un quadro più ampio, che riguarda i Paesi vicini, quindi l’Uganda, il Rwanda, il Sudan, in particolare il Sud Sudan. Certamente, gioca un ruolo fondamentale la presenza di materie prime, come oro, coltan, diamanti. Queste risorse sono importanti soprattutto per il sostentamento dei gruppi ribelli, perché con la vendita e il contrabbando dei minerali riescono a comprare armi e a mantenersi in vita. Però, in molti casi, all’origine di questi movimenti ribelli ci sono giochi regionali e internazionali che vanno a muoversi sullo scacchiere dell’ex Zaire, Paese che nella storia del Novecento è sempre stato una pedina molto importante, in Africa, per gli equilibri mondiali.
 
D. – Del massacro avvenuto in dicembre se ne sta parlando in questi giorni: c’è da attendersi dell’altro?
 
R. – Credo che questa sia la cosa più allarmante, perché il problema è che noi veniamo a sapere oggi di atrocità compiute nel mese di dicembre, e chissà quante altre violenze, che sono all’ordine del giorno in questa parte dell’Africa, si compiono e noi non ne sapremo nulla! Penso che il primo passo per riportare la pace in Congo sia quello di riuscire ad arrivare ad avere un reale controllo del territorio, il che significa un controllo certamente da parte del governo, ma anche da parte delle organizzazioni umanitarie: quindi una presenza fisica sul territorio che possa pure testimoniare quello che succede.







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