Eccidi in Congo: indaga l'Onu. La Chiesa: governo latitante
Sarebbero 290 secondo la missione Onu in Congo (MONUC), 321 secondo Human Rights Watch,
le vittime del massacro compiuto in dicembre nel nord della Repubblica Democratica
del Congo dai ribelli ugandesi dell’Esercito di resistenza del Signore (LRA). A confermarlo
anche fonti dell’Episcopato dell’ex Zaire. Inoltre, mons. Julien Andavo Mbia, vescovo
di Isiro-Nyangara, nel nordest del Paese, intervistato dall’agenzia missionaria Misna
riferisce che “dopo le uccisioni di dicembre scorso, già denunciate all’epoca, non
c’è stata alcuna indagine governativa e nessun aiuto per le famiglie delle vittime,
che soffrono e hanno bisogno di assistenza". La missione delle Nazioni Unite ha intanto
inviato un team di investigatori nella zona degli eccidi, il distretto di Haut Uele,
anche per accertare la sorte di almeno 150 persone che sarebbero state sequestrate.
Sulle ragioni di queste violenze, Giada Aquilino ha intervistato Michele
Luppi, giornalista esperto di Africa e autore di reportage dalla Repubblica Democratica
del Congo:
R. – La situazione
è difficile da capire. Credo che in questa vicenda sia emblematico il fatto che non
si sappia nemmeno quale sia il numero preciso delle vittime. Ciò indica una situazione
da un lato di instabilità, ma dall’altro anche di mancanza di conoscenza e di controllo
del territorio da parte del governo congolese. Il problema è che in questa regione,
che è a cavallo tra il Sud Sudan, la Repubblica Centrafricana e l’Uganda, sono disseminati
piccoli gruppi di questi ribelli del Lord’s Resistance Army che, oggi come oggi, attaccano
più che altro per mangiare, concentrandosi specialmente sui piccoli villaggi: arrivano
in questi villaggi, saccheggiano, uccidono compiendo anche atti atroci e poi scappano
velocemente, costringendo la popolazione a seguirli per portare i viveri che hanno
saccheggiato. D. – L’Esercito di resistenza del Signore in Congo
ex Zaire è comandato dal generale Ongwen, ricercato dalla Corte penale internazionale.
Ma qual è la situazione di questo movimento ribelle in Uganda? R.
– Dal 2006, l’Esercito di resistenza del Signore si è spostato quasi totalmente nella
Repubblica Democratica del Congo, per poi sconfinare nella Repubblica Centrafricana
e nel Sud Sudan. Ciò è avvenuto dopo quello che era stato un tentativo di accordo
tra il governo ugandese e l’Esercito di resistenza del Signore a Juba, quasi culminato
in una firma di un’intesa di pace. Poi l’accordo è saltato, a seguito del mandato
di cattura internazionale nei riguardi dei vertici stessi dell’Esercito di resistenza
del Signore. D. – In Congo, tra l’altro, è schierata la Monuc,
la missione dell’Onu. Qual è il suo compito? R. – Il compito
della Monuc, da statuto, dovrebbe essere proprio quello di difendere e di proteggere
la popolazione oltre, ovviamente, a favorire la stabilizzazione e la democratizzazione
del Paese. Purtroppo, in questi anni anche la missione Onu è riuscita a fare poco,
soprattutto per quanto riguarda la difesa della popolazione. Se da un lato abbiamo
avuto le elezioni e in alcune aree c’è stata una certa stabilizzazione, le critiche
che vengono mosse dalla popolazione congolese alla Monuc è proprio quella di non essere
riuscita a difendere la gente, pur essendo presente nel Paese con circa 20 mila uomini.
E questo è dovuto certamente anche ad una vastità di territorio che rende difficile
il dispiegamento in tutti i villaggi di uomini, sia dell’esercito di Kinshasa sia
della stessa missione delle Nazioni Unite. D. – Perché è così
instabile quest’area? R. – Prima di tutto, per capire la storia
soprattutto dell’Est della Repubblica Democratica del Congo, bisogna inserirla in
un quadro più ampio, che riguarda i Paesi vicini, quindi l’Uganda, il Rwanda, il Sudan,
in particolare il Sud Sudan. Certamente, gioca un ruolo fondamentale la presenza di
materie prime, come oro, coltan, diamanti. Queste risorse sono importanti soprattutto
per il sostentamento dei gruppi ribelli, perché con la vendita e il contrabbando dei
minerali riescono a comprare armi e a mantenersi in vita. Però, in molti casi, all’origine
di questi movimenti ribelli ci sono giochi regionali e internazionali che vanno a
muoversi sullo scacchiere dell’ex Zaire, Paese che nella storia del Novecento è sempre
stato una pedina molto importante, in Africa, per gli equilibri mondiali. D.
– Del massacro avvenuto in dicembre se ne sta parlando in questi giorni: c’è da attendersi
dell’altro? R. – Credo che questa sia la cosa più allarmante,
perché il problema è che noi veniamo a sapere oggi di atrocità compiute nel mese di
dicembre, e chissà quante altre violenze, che sono all’ordine del giorno in questa
parte dell’Africa, si compiono e noi non ne sapremo nulla! Penso che il primo passo
per riportare la pace in Congo sia quello di riuscire ad arrivare ad avere un reale
controllo del territorio, il che significa un controllo certamente da parte del governo,
ma anche da parte delle organizzazioni umanitarie: quindi una presenza fisica sul
territorio che possa pure testimoniare quello che succede.