2010-03-30 15:21:01

Diminuite nel mondo le esecuzioni. Lo afferma il Rapporto 2009 di Amnesty International


Nel 2009, sono state eseguite nel mondo almeno 714 pene capitali in 18 Paesi e condannate a morte almeno 2.001 persone in 56 Paesi. Ma sono ancora tante le esecuzioni di cui non si ha notizia, soprattutto in Cina. Questo quanto, in sintesi, afferma il Rapporto sulla pena di morte pubblicato oggi da Amnesty International. Si tratta di dati in ribasso, ma che non devono fare abbassare la guardia nei confronti di questa piaga, che colpisce Paesi anche dell’area democratica. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:RealAudioMP3

R. – Iniziamo dai dati positivi, che la pena di morte è stata applicata in meno del dieci per cento dei Paesi della comunità internazionale e dunque rappresenta ormai più l’eccezione che la regola. Un altro fatto positivo è che il numero dei Paesi in cui sono state eseguite condanne a morte è sensibilmente inferiore rispetto al dato del 2008, diciotto contro venticinque, ed è importante sottolineare quanto il continente più refrattario alla tendenza abolizionista, cioè l’Asia, sia il continente nel quale sono stati registrati passi avanti importanti, tant’è che Afghanistan, Indonesia, Mongolia e Pakistan non hanno fatto registrate esecuzioni, e l’India, per il quinto anno consecutivo, ha portato avanti una moratoria. Certamente è in Asia però che c’è il buco nero della pena di morte, perché presumiamo che le esecuzioni in Cina siano state ancora migliaia. Abbiamo chiesto il governo di Pechino a rendere pubblici i dati sulle esecuzioni, perché se dicono ormai da tempo che le esecuzioni sono in diminuzione, non c’è alcuna ragione per cui la pena di morte debba rimanere un segreto di Stato.

 
D. – Perché alcuni Paesi alzano un muro di omertà di fronte a questa piaga?

 
R. – Perché si rendono conto che la pena di morte è considerata ormai a livello universale una questione di diritti umani e quindi circondare dal segreto i dati serve ad impedire un’ulteriore e più forte condanna e stigmatizzazione da parte della maggioranza dei Paesi del mondo, che ormai sono abolizionisti convinti.

 
D. – Possiamo dire quindi che la moratoria sulla pena di morte sta funzionando anche bene...

 
R. – La moratoria ha dato un impulso importante alla tendenza abolizionista, il cui cammino prosegue. I Paesi che hanno abolito la pena capitale del tutto sono saliti a 95 su un totale di 139 che non la applicano più. Ma oltre a questo, la pena di morte ha dato impulso al dibattito in Paesi nei quali la pena di morte è applicata rarissimamente. Penso all’India, penso a Taiwan, penso alla Corea del Sud. E dobbiamo aggiungere anche che ci sono due continenti – Oceania ed Europa – che nel 2009 non hanno fatto registrare esecuzioni. I Paesi che più si oppongono alla moratoria sono i soliti: oltre alla Cina, l’Iran, l’Iraq e l’Arabia Saudita anche gli Stati Uniti, che sono Paesi che hanno fatto registrare la totalità quasi delle 714 esecuzioni note ad Amnesty International.

 
D. – Un tema legato alle esecuzioni è quello della regolarità dei processi che portano alla pena capitale...

 
R. – Sì, conferma quello che diciamo ormai da decenni: che la pena di morte è applicata spesso in modo discriminatorio, sia da un punto di vista economico nei confronti dei più poveri, quelli che non hanno possibilità di una buona difesa legale, ma è applicata per inviare messaggi politici di tipo repressivo. Qua e là nel mondo, si colpiscono esponenti di minoranze etniche e religiose, si condanna a morte e si impicca anche per reati di opinione o di abiura ad una fede religiosa: penso al reato di apostasia in Paesi del Medio Oriente.

 
D. – Noury, ci sono Paesi dell’area democratica nei quali invece c’è la pena di morte?

 
R. – Oltre agli Stati Uniti, che sono l’esempio noto a tutti, va sottolineato il Giappone, dove le esecuzioni purtroppo rimangono costanti e poi, purtroppo, l’eccezione di un 2009 senza pena di morte in Europa è stata subito tradita, all’inizio di quest’anno, con due fucilazioni in Bielorussia.

 
D. – Molti Paesi che hanno la pena di morte si giustificano quasi parlando di applicazione umanitaria delle esecuzioni...

 
R. – In realtà questo è un tema che sia per le motivazioni che per il metodo è assolutamente inaccettabile. C’è chi dice che la pena di morte sia un modo per dare conforto alle vittime del crimine violento, ma tantissimi parenti di ragazze e ragazzi assassinati chiedono che non venga fatta giustizia in questo modo così barbaro. Quanto al metodo, sta prendendo piede in alcuni Paesi, Cina e Thailandia, il metodo tipico degli Stati Uniti, cioè l’iniezione di veleno, e proprio da questo punto di vista, negli Stati Uniti, il 2009 è stato un anno brutto, nel quale sono state anche sperimentate nuove composizioni di sostanze mortali, dopo che nello Stato dell’Ohio, in particolare, c’erano state agonie durate anche decine di minuti e, in quello Stato lì, proprio con un esperimento su un essere umano vivo, sono state provate nuove miscele apparentemente più letali.







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