Diminuite nel mondo le esecuzioni. Lo afferma il Rapporto 2009 di Amnesty International
Nel 2009, sono state eseguite nel mondo almeno 714 pene capitali in 18 Paesi e condannate
a morte almeno 2.001 persone in 56 Paesi. Ma sono ancora tante le esecuzioni di cui
non si ha notizia, soprattutto in Cina. Questo quanto, in sintesi, afferma il Rapporto
sulla pena di morte pubblicato oggi da Amnesty International. Si tratta di dati in
ribasso, ma che non devono fare abbassare la guardia nei confronti di questa piaga,
che colpisce Paesi anche dell’area democratica. Giancarlo La Vella ne ha parlato
con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:
R. – Iniziamo
dai dati positivi, che la pena di morte è stata applicata in meno del dieci per cento
dei Paesi della comunità internazionale e dunque rappresenta ormai più l’eccezione
che la regola. Un altro fatto positivo è che il numero dei Paesi in cui sono state
eseguite condanne a morte è sensibilmente inferiore rispetto al dato del 2008, diciotto
contro venticinque, ed è importante sottolineare quanto il continente più refrattario
alla tendenza abolizionista, cioè l’Asia, sia il continente nel quale sono stati registrati
passi avanti importanti, tant’è che Afghanistan, Indonesia, Mongolia e Pakistan non
hanno fatto registrate esecuzioni, e l’India, per il quinto anno consecutivo, ha portato
avanti una moratoria. Certamente è in Asia però che c’è il buco nero della pena di
morte, perché presumiamo che le esecuzioni in Cina siano state ancora migliaia. Abbiamo
chiesto il governo di Pechino a rendere pubblici i dati sulle esecuzioni, perché se
dicono ormai da tempo che le esecuzioni sono in diminuzione, non c’è alcuna ragione
per cui la pena di morte debba rimanere un segreto di Stato.
D.
– Perché alcuni Paesi alzano un muro di omertà di fronte a questa
piaga?
R. – Perché si rendono conto che la pena di
morte è considerata ormai a livello universale una questione di diritti umani e quindi
circondare dal segreto i dati serve ad impedire un’ulteriore e più forte condanna
e stigmatizzazione da parte della maggioranza dei Paesi del mondo, che ormai sono
abolizionisti convinti.
D. – Possiamo dire quindi
che la moratoria sulla pena di morte sta funzionando anche bene...
R.
– La moratoria ha dato un impulso importante alla tendenza abolizionista, il cui cammino
prosegue. I Paesi che hanno abolito la pena capitale del tutto sono saliti a 95 su
un totale di 139 che non la applicano più. Ma oltre a questo, la pena di morte ha
dato impulso al dibattito in Paesi nei quali la pena di morte è applicata rarissimamente.
Penso all’India, penso a Taiwan, penso alla Corea del Sud. E dobbiamo aggiungere anche
che ci sono due continenti – Oceania ed Europa – che nel 2009 non hanno fatto registrare
esecuzioni. I Paesi che più si oppongono alla moratoria sono i soliti: oltre alla
Cina, l’Iran, l’Iraq e l’Arabia Saudita anche gli Stati Uniti, che sono Paesi che
hanno fatto registrare la totalità quasi delle 714 esecuzioni note ad Amnesty International.
D.
– Un tema legato alle esecuzioni è quello della regolarità dei processi che portano
alla pena capitale...
R. – Sì, conferma quello che
diciamo ormai da decenni: che la pena di morte è applicata spesso in modo discriminatorio,
sia da un punto di vista economico nei confronti dei più poveri, quelli che non hanno
possibilità di una buona difesa legale, ma è applicata per inviare messaggi politici
di tipo repressivo. Qua e là nel mondo, si colpiscono esponenti di minoranze etniche
e religiose, si condanna a morte e si impicca anche per reati di opinione o di abiura
ad una fede religiosa: penso al reato di apostasia in Paesi del Medio Oriente.
D.
– Noury, ci sono Paesi dell’area democratica nei quali invece c’è la pena di morte?
R.
– Oltre agli Stati Uniti, che sono l’esempio noto a tutti, va sottolineato il Giappone,
dove le esecuzioni purtroppo rimangono costanti e poi, purtroppo, l’eccezione di un
2009 senza pena di morte in Europa è stata subito tradita, all’inizio di quest’anno,
con due fucilazioni in Bielorussia.
D. – Molti Paesi
che hanno la pena di morte si giustificano quasi parlando di applicazione umanitaria
delle esecuzioni...
R. – In realtà questo è un tema
che sia per le motivazioni che per il metodo è assolutamente inaccettabile. C’è chi
dice che la pena di morte sia un modo per dare conforto alle vittime del crimine violento,
ma tantissimi parenti di ragazze e ragazzi assassinati chiedono che non venga fatta
giustizia in questo modo così barbaro. Quanto al metodo, sta prendendo piede in alcuni
Paesi, Cina e Thailandia, il metodo tipico degli Stati Uniti, cioè l’iniezione di
veleno, e proprio da questo punto di vista, negli Stati Uniti, il 2009 è stato un
anno brutto, nel quale sono state anche sperimentate nuove composizioni di sostanze
mortali, dopo che nello Stato dell’Ohio, in particolare, c’erano state agonie durate
anche decine di minuti e, in quello Stato lì, proprio con un esperimento su un essere
umano vivo, sono state provate nuove miscele apparentemente più letali.