Liturgia del Lunedì Santo incentrata su Giuda. Il Papa: controbilanciare il male di
chi tradisce con una limpida testimonianza di Cristo
Il Vangelo del Lunedì Santo si concentra sulla figura di Giuda Iscariota. Il passo
di Giovanni lo mostra nell’episodio in cui il traditore di Cristo critica l’omaggio
che Maria, la sorella di Lazzaro, fa a Gesù, cospargendogli i piedi di un prezioso
profumo: un gesto che Giuda bolla come uno spreco di denaro, sostenendo che avrebbe
potuto essere impiegato per i poveri. Tuttavia, spiega il Vangelo, a Giuda non importavano
i poveri bensì i soldi della cassa, che lui teneva e derubava. Già in alcune occasioni,
Benedetto XVI ha riflettuto pubblicamente sulla figura di Giuda, sulle motivazioni
del suo gesto contro Cristo, su ciò che significò per la storia della salvezza e quello
che insegna alla Chiesa di oggi. Alessandro De Carolis ricorda alcune di queste
affermazioni del Papa:
Fin dalla
prima ora della sua bimillenaria esistenza, la Chiesa ha conosciuto il tradimento
al suo interno. Gesù era inviso alla maggioranza della classe dirigente ebraica del
suo tempo, ma se essa trova infine il modo di catturarlo e mandarlo a morte è grazie
al tradimento di uno della cerchia degli Apostoli. E’ Giuda Iscariota che consegna
Cristo ai suoi nemici. E Giuda, scrivono i Vangeli, era “uno dei Dodici”. All’udienza
generale del 18 ottobre 2006, concludendo la sua personale galleria di ritratti degli
Apostoli, Benedetto XVI affronta la storia dell’uomo il cui nome, osserva all’inizio,
“suscita tra i cristiani un’istintiva reazione di riprovazione e di condanna”. In
quell’udienza, il Papa si pone le due domande che, quando si parla di Giuda, tutti
si pongono: perché Gesù lo chiamò con sé? E perché decise di tradire chi lo aveva
scelto? Il “mistero della scelta rimane”, afferma Benedetto XVI. E pur avanzando “ipotesi”,
anche le ragioni contingenti del tradimento – delusione verso un leader non politico,
pura e semplice avidità di denaro – non sono più chiare: “In realtà,
i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che
‘il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo’
(…) In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in
base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione
del Maligno”. Ciò non vuol dire che Giuda abbia semplicemente
ceduto a una forza soprannaturale che, per quanto malefica, era preponderante rispetto
alla sua volontà. Vuol dire esattamente il contrario. Il punto nevralgico il Papa
lo tocca sei mesi prima, il 13 aprile, all’omelia della Messa del Giovedì Santo: Giuda,
dice, rompe gli indugi mentre si trova nel Cenacolo, poco dopo che Gesù, in un atto
di suprema umiltà, gli ha lavato i piedi pur sapendo che, in quell’uomo, la vera sporcizia
è annidata altrove: “È la superbia che non vuole confessare
e riconoscere che abbiamo bisogno di purificazione. In Giuda vediamo la natura di
questo rifiuto ancora più chiaramente. Egli valuta Gesù secondo le categorie del potere
e del successo (…) l'amore non conta. Ed egli è avido: il denaro è più importante
della comunione con Gesù, più importante di Dio e del suo amore. E così diventa anche
un bugiardo, che fa il doppio gioco e rompe con la verità; uno che vive nella menzogna
e perde così il senso per la verità suprema, per Dio”. Se Pietro, il
primo degli Apostoli, che baratta inizialmente la propria incolumità con lo strazio
inflitto al suo Maestro, sa trovare lacrime amare di vergogna e di pentimento per
la sua debolezza, Giuda – prosegue Benedetto XVI – è l’evidenza di un uomo che “si
indurisce”, che pur pentendosi non sa tornare sui suoi passi, e “butta via la vita
distrutta”. La sua è la disperazione che degenera in “autodistruzione”: “E’
per noi un invito a tener sempre presente quanto dice san Benedetto alla fine del
fondamentale capitolo V della sua ‘Regola’: ‘Non disperare mai della misericordia
divina’. In realtà Dio ‘è più grande del nostro cuore’, come dice san Giovanni. Teniamo
quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù
aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia
e di perdono”. Su un “gesto inescusabile” come quello di Giuda Dio
poi costruisce un passaggio-chiave del suo progetto di redenzione del mondo. Nella
sua “superiore conduzione degli eventi”, chiarisce il Papa, il tradimento conduce
alla morte di Gesù, che “trasforma” un “tremendo supplizio in spazio di amore salvifico
e in consegna di sé al Padre”. I minuti restanti di quell’udienza
generale del 2006 Benedetto XVI li dedica a Mattia, l’uomo che “fu associato agli
undici Apostoli” al posto di Giuda. Di lui, riferisce il Papa, “non sappiamo altro,
se non che anch’egli era stato testimone di tutta la vicenda terrena di Gesù, rimanendo
a Lui fedele fino in fondo”. Una fedeltà culminata in una nomina a discepolo, che
lo ricompensa per la sua lealtà e compensa il tradimento di Giuda. Conclusione che
vale un inequivocabile insegnamento per le vicende della Chiesa di oggi: “Ricaviamo
da qui un’ultima lezione: anche se nella Chiesa non mancano cristiani indegni e traditori,
spetta a ciascuno di noi controbilanciare il male da essi compiuto con la nostra limpida
testimonianza a Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore”.