La difficile ricostruzione di Haiti dopo il terremoto: con noi, Paolo Beccegato di
Caritas Italia
La violenza sessuale sulle donne è assai diffusa nelle centinaia di campi spontanei
che sono sorti su tutto il territorio di Haiti dopo il terremoto del 12 gennaio scorso,
che ha provocato oltre 222 mila morti. La denuncia viene da "Amnesty International",
che ha visitato otto campi nel Paese. Rimane poi anche un’altra emergenza: la macchina
degli aiuti funziona a pieno regime, ma gli effetti del disastro sono stati tali che
non si riesce a far fronte interamente alle enormi necessità. Ce ne parla Paolo
Beccegato, responsabile area internazionale di Caritas Italia, intervistato da
Giada Aquilino:
R. – Gli
ultimi rapporti dicono che non tutte le persone sono ancora state raggiunte dalla
distribuzione degli aiuti di prima necessità. Addirittura si parla di un 44 per cento
di persone che non viene regolarmente rifornito di aiuti di prima necessità, soprattutto
di tende, che in zone tropicali certamente sono molto importanti. Anche per quanto
riguarda cibo e acqua, la distribuzione non è ancora regolare. In più resta un flusso
di gente che lascia Port-au-Prince. Quindi, c’è una sorta di de-urbanizzazione, senza
parlare del problema di dover trovare una collocazione a 250 mila persone, con i rischi
di spostamento di fasce deboli, che il governo in questo momento sta cercando di gestire
con grande difficoltà.
D. – Proprio a proposito
degli spostamenti, fonti internazionali sul posto riferiscono di violenze e stupri
nei campi profughi nati spontaneamente. Che notizie ci sono?
R.
– Il fenomeno ci è noto e sappiamo che non è certamente la prima volta che questo
accade in situazioni di grandissima promiscuità, di enorme confusione, di mancanza
di regole. Purtroppo è un dramma nel dramma, che difficilmente viene governato, soprattutto
in uno Stato che non è in grado di garantire i servizi minimi ai propri cittadini
da decenni e tanto meno in questa situazione. Certamente non bisogna però dimenticare
che il crollo del palazzo presidenziale, del palazzo delle telecomunicazioni, del
palazzo dell’Onu nella stessa capitale non ha favorito forme di governo organizzate.
D.
– Le Caritas, compresa quella italiana, come sono impegnate in questa fase?
R.
– E’ un’emergenza umanitaria di massa, con circa 230 mila morti, 400 mila feriti.
Per cui si portano effettivamente delle gocce in un mare magnum terribile di una situazione
davvero apocalittica. Resta una situazione molto difficile. Noi stiamo co-gestendo
20 campi profughi, cercando di raggiungere anche con difficoltà 200 mila persone.
Si parla di circa un milione e mezzo, addirittura 2 milioni di persone che hanno bisogno
sostanzialmente di tutto. La ricostruzione è ancora molto lontana e quindi lo sforzo
della rete Caritas è immenso: ci sono migliaia di operatori volontari. Si parla di
5 mila volontari - ed è solo una stima – 500 operatori e un team di 20 espatriati,
che stanno gestendo un’operazione immensa da più di 20 milioni di euro. Ma, appunto,
è una goccia in un oceano.